Ernia: «Sono un rapper intellettuale»
Un rapper diverso dagli altri. Ernia (vero nome Matteo Professione) non ha tatuaggi evidenti, non sfoggia tagli di capelli «tattici». È un tipo da buone letture, viene dal QT8, quartiere periferico di Milano dove la dura strada si alterna alle zone residenziali, è figlio di una professoressa di latino e italiano e nei suoi testi non fa necessariamente il duro. È appena uscito il suo nuovo album dal titolo 68, 12 brani inediti tra cui il singolo Domani. Ernia, ma un rapper può essere così per bene? «Tanti miei colleghi si calano in un ruolo. E poi, comunque, anche io le mie scemenze da giovanissimo le ho fatte. La verità è che a me non piace recitare una parte. Sia nel bene che nel male». Ad esempio? «Beh, oggi ci sono questi rapper e artisti vari che fanno i duri e poi dicono cose stile Disney, tipo: “ringrazio i fan perché senza di loro non ci sarei’, cose così”». Che cosa significa 68? «È il numero dell’unico autobus che passa per il mio quartiere: da Bonola porta a Porta Genova, dalla periferia alla zona della movida milanese. Come a dire, mi sono conquistato il centro del palco. Al quarto tour, non mi sento più un emergente». Nell’album spiccano diverse influenze musicali, alcune molto black: quando inizia il viaggio musicale di Ernia? «Da bambino: mia mamma ci vestiva per la scuola, o prima di partire per le vacanze, cantando musica soul, ma anche Zucchero e De André».