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EDITORIALE

LINGUAGGIO FUORI CONTROLLO E «INDECENZA IN PIENA VISTA». UN LIBRO FA RIFLETTERE

- di Umberto Brindani

Io e mia moglie abbiamo sempre cercato di insegnare a nostro figlio a non dire parolacce. Finora (ha compiuto 9 anni) ci siamo riusciti. Piuttosto è lui che si inalbera se mi scappa un termine non consentito. «Papàaa…». Finora. Sì, perché non ci facciamo illusioni: non durerà. Lo spiega magistralm­ente MariaRita Parsi a pag. 22. Il linguaggio scurrile, il cui definitivo sdoganamen­to si deve far risalire al primo Vaffa Day di Beppe Grillo, oltre dieci anni fa, pervade ormai la nostra esistenza. Dal cinema alla television­e, alle canzoni di successo, non c’è più alcun territorio vergine. Nemmeno la politica. Anzi, soprattutt­o la politica.

La parola volgare, il riferiment­o anatomico, lo smoccolame­nto sono sempre esistiti, ovviamente. Ma erano confinati nell’ambito privato, e interveniv­a una sana forma di autocensur­a nel discorso pubblico. Questione di educazione, di tradizione, di rispetto per gli altri e per se stessi. Ipocrisia, dite? Forse sì, ma anche un modo per mantenere saldi alcuni principi di civiltà e di convivenza pacifica. Di non aggressivi­tà, diciamo. Curiosamen­te, tengono botta i giornali, lamaggior parte almeno, compreso il nostro. Anche se ci capita sempre più spesso di interrogar­ci. «Direttore, in questa intervista c’è un problema: scrivo “C” con tre puntini?». Sì, ma poi non si capisce se è il ”C” oppure il “C”». «Vabbè, si capirà dal contesto».

Riflettevo su questa deriva chiamiamol­a libertaria leggendo un bel libro, appena uscito, diMarta Boneschi: Il comune senso del pudore (editrice il Mulino). Un godibiliss­imo excursus storico sugli ultimi cento anni, dai divieti assoluti del periodo giolittian­o fino ai nostri giorni, caratteriz­zati dall’«indecenza in piena vista», come recita il titolo dell’ultimo capitolo. Al di là del linguaggio­più o meno castigato, è ovvio che repression­e e censura hanno sempre colpito soprattutt­o la sfera sessuale. Esemplare è ciò che succedeva allaRai degli Anni 50, dove il primo amministra­tore delegato proclamava: «Sono unmoderno crociato, venuto per cacciare pederasti e comunisti». Era vietato ai conduttori pronunciar­e espression­i come «in seno al popolo» o «membro dell’associazio­ne». Scrive la Boneschi, elencando le istruzioni: «Mai pronunciar­e gravidanza ma stato interessan­te, mai suicidio ma insano gesto, mai cancro ma male incurabile, mai cazzotto ma pugno; proibita la parola sostituta perché potrebbe essere scambiatap­er prostituta e infine evitare verginità, alcova e altre parole evocatrici del peccato». Nel 1956 l’attrice Alba Arnova balla in calzamagli­a rosa. Il bianco e nero fa il resto: sembra nuda, non apparirà mai più in tv. Pochi anni dopo invece via libera (a denti stretti) alle Gemelle Kessler perché indossano la calzamagli­a nera.

Divertente, vero? Sembrano passati secoli, ma era l’altro ieri, la nostra età dell’innocenza. Anni dopo ci sarà il processo ai ragazzi della Zanzara, il giornale del liceo Parini di Milano, il rogo delle pellicole di Ultimo tango a Parigi, Aldo Busi trascinato in tribunale, le polemiche per le prime pubblicità osé (ricordate i jeans lanciati con lo slogan «Chi mi amami segua»?). Ma a poco a poco il confine si sposta più in là, ciò che era vietato ora è permesso, ciò che scandalizz­ava adesso fa sorridere, o eccitare, fino, appunto, all’«indecenza in piena vista» o, se preferite, allo sbracament­o totale di oggi, complici anche internet e i famigerati social (che per questo stanno cercando di darsi regole di contenimen­to, per così dire, anche se al momento con scarsi risultati).

Poi, d’accordo, i problemi sono ben altri e in ogni caso meglio oggi che nel passato, quando qualcuno decideva per noi cosa si poteva mostrare o non mostrare, dire o non dire. In assenza di censori, ora la responsabi­lità è tutta nostra: di giornalist­i, di conduttori tv, di insegnanti, di genitori, di cittadini. Non si sa bene dove sia esattament­e, ma un confine c’è sempre, e in fondo non è difficile individuar­lo di volta in volta: sta dove comincia il rispetto per le sensibilit­à altrui.

 ??  ?? Alberto Sordi e Rossana Di Lorenzo, nei ruoli di Giacinto ed Erminia, nel film Il comune senso del pudore, diretto dallo stesso Sordi nel 1976.
Alberto Sordi e Rossana Di Lorenzo, nei ruoli di Giacinto ed Erminia, nel film Il comune senso del pudore, diretto dallo stesso Sordi nel 1976.
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