EDITORIALE
LINGUAGGIO FUORI CONTROLLO E «INDECENZA IN PIENA VISTA». UN LIBRO FA RIFLETTERE
Io e mia moglie abbiamo sempre cercato di insegnare a nostro figlio a non dire parolacce. Finora (ha compiuto 9 anni) ci siamo riusciti. Piuttosto è lui che si inalbera se mi scappa un termine non consentito. «Papàaa…». Finora. Sì, perché non ci facciamo illusioni: non durerà. Lo spiega magistralmente MariaRita Parsi a pag. 22. Il linguaggio scurrile, il cui definitivo sdoganamento si deve far risalire al primo Vaffa Day di Beppe Grillo, oltre dieci anni fa, pervade ormai la nostra esistenza. Dal cinema alla televisione, alle canzoni di successo, non c’è più alcun territorio vergine. Nemmeno la politica. Anzi, soprattutto la politica.
La parola volgare, il riferimento anatomico, lo smoccolamento sono sempre esistiti, ovviamente. Ma erano confinati nell’ambito privato, e interveniva una sana forma di autocensura nel discorso pubblico. Questione di educazione, di tradizione, di rispetto per gli altri e per se stessi. Ipocrisia, dite? Forse sì, ma anche un modo per mantenere saldi alcuni principi di civiltà e di convivenza pacifica. Di non aggressività, diciamo. Curiosamente, tengono botta i giornali, lamaggior parte almeno, compreso il nostro. Anche se ci capita sempre più spesso di interrogarci. «Direttore, in questa intervista c’è un problema: scrivo “C” con tre puntini?». Sì, ma poi non si capisce se è il ”C” oppure il “C”». «Vabbè, si capirà dal contesto».
Riflettevo su questa deriva chiamiamola libertaria leggendo un bel libro, appena uscito, diMarta Boneschi: Il comune senso del pudore (editrice il Mulino). Un godibilissimo excursus storico sugli ultimi cento anni, dai divieti assoluti del periodo giolittiano fino ai nostri giorni, caratterizzati dall’«indecenza in piena vista», come recita il titolo dell’ultimo capitolo. Al di là del linguaggiopiù o meno castigato, è ovvio che repressione e censura hanno sempre colpito soprattutto la sfera sessuale. Esemplare è ciò che succedeva allaRai degli Anni 50, dove il primo amministratore delegato proclamava: «Sono unmoderno crociato, venuto per cacciare pederasti e comunisti». Era vietato ai conduttori pronunciare espressioni come «in seno al popolo» o «membro dell’associazione». Scrive la Boneschi, elencando le istruzioni: «Mai pronunciare gravidanza ma stato interessante, mai suicidio ma insano gesto, mai cancro ma male incurabile, mai cazzotto ma pugno; proibita la parola sostituta perché potrebbe essere scambiataper prostituta e infine evitare verginità, alcova e altre parole evocatrici del peccato». Nel 1956 l’attrice Alba Arnova balla in calzamaglia rosa. Il bianco e nero fa il resto: sembra nuda, non apparirà mai più in tv. Pochi anni dopo invece via libera (a denti stretti) alle Gemelle Kessler perché indossano la calzamaglia nera.
Divertente, vero? Sembrano passati secoli, ma era l’altro ieri, la nostra età dell’innocenza. Anni dopo ci sarà il processo ai ragazzi della Zanzara, il giornale del liceo Parini di Milano, il rogo delle pellicole di Ultimo tango a Parigi, Aldo Busi trascinato in tribunale, le polemiche per le prime pubblicità osé (ricordate i jeans lanciati con lo slogan «Chi mi amami segua»?). Ma a poco a poco il confine si sposta più in là, ciò che era vietato ora è permesso, ciò che scandalizzava adesso fa sorridere, o eccitare, fino, appunto, all’«indecenza in piena vista» o, se preferite, allo sbracamento totale di oggi, complici anche internet e i famigerati social (che per questo stanno cercando di darsi regole di contenimento, per così dire, anche se al momento con scarsi risultati).
Poi, d’accordo, i problemi sono ben altri e in ogni caso meglio oggi che nel passato, quando qualcuno decideva per noi cosa si poteva mostrare o non mostrare, dire o non dire. In assenza di censori, ora la responsabilità è tutta nostra: di giornalisti, di conduttori tv, di insegnanti, di genitori, di cittadini. Non si sa bene dove sia esattamente, ma un confine c’è sempre, e in fondo non è difficile individuarlo di volta in volta: sta dove comincia il rispetto per le sensibilità altrui.