Oggi

Giovanardi? Almeno stia zitto

OGNI VOLTA CHE INTERVIENE SUL CA SODI STEFANO CUCCHI, L’EX SENATORE SI ESPRIME CON PAROLE DURE. COME NEI GIORNI SCORSI, DOPO LE AMMISSIONI DI UN CARABINIER­E

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Ci sono voluti nove anni per venire a capo (e non ancora del tutto) di una vicenda densa di misteri, trascurate­zze, negligenze, omissioni cominciate la sera stessa dell’arresto di Stefano Cucchi, proseguite fino alla sua morte (una settimana più tardi) e poi negli anni a seguire, durante i quali s’è svolto un processo contro gli imputati sbagliati che i veri colpevoli sapevano innocenti.

Ora che uno dei cinque carabinier­i imputati, Francesco Tedesco, ha ricostruit­o i fatti di quella notte e ha «chiamato in causa» due dei militari a processo per il pestaggio, la verità e la gravità dei fatti sta finalmente emergendo.

Ci sono abietti silenzi omertosi (che sono serviti a sviare le indagini e a rendere ai familiari ancora più dolorosa la morte di Stefano) e ci sono silenzi, invece, che andrebbero coltivati se non con umanità (specie da chi si proclama cristiano) almeno con senso di responsabi­lità. Ancora pochi giorni fa, Carlo Giovanardi ha sentito il bisogno di intervenir­e: «Non devo chiedere scusa alla famiglia Cucchi, perché dovrei farlo? La prima causa di morte di Stefano Cucchi è stata la droga». Non il pestaggio, la droga. Non è la prima volta che l’ex deputato Dc ed ex senatore Pdl rivolge parole dure contro la famiglia di Stefanoeme­tte in dubbio che esista qualsiasi respon- sabilità a carico dei carabinier­i della stazione Appia di Roma. La tesi della morte del ragazzo avvenuta per denutrizio­ne venne condivisa pubblicame­nte per la prima volta nel 2013, quando Giovanardi sostenne che i medici dell’ospedale Pertini avrebbero dovuto obbligarlo a mangiare e bere e che i presunti segni di violenza sul suo corpo non erano altro che la conseguenz­a del suo precario stato fisico. L’anno successivo, nel 2014, oltre a ripetere la sua tesi, Giovanardi si oppose strenuamen­te all’intitolazi­one di una strada al giovane geometra romano perché «Cucchi spacciava e non credo che spacciare sia una cosa particolar­mente onorevole». Due anni dopo, Cucchi diventò «spacciator­e di dimensioni piuttosto grosse», e così via, accusando spesso la sorella di Stefano di costruirsi una carriera politica sulla morte del fratello. Ogni vota che interviene, Giovanardi apre ferite difficili da rimarginar­e, le sue parole sono crudeli come frecce avvelenate. Nessuno vuole tappargli la bocca, ma soltanto invitarlo a riflettere sul silenzio, una condizione la cui utilità è inesauribi­le e il cui valore, in un mondo così assordante, cresce a dismisura. Le scelte più difficili si maturano nel silenzio, nella riflession­e e nella fatica. La fatica di stare zitti.

LE SCELTE PIÙ DIFFICILI SI MATURANO NEL SILENZIO, NELLA RIFLESSION­E E NELLA FATICA

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