Voleva farla finita, lamoglie l’ha salvato
QUANDO HA ASCOLTATO LA SENTENZA È CROLLATO DOPO UNA CRISI DI PIANTO. POI, È ARRIVATA LA TELEFONATA CON MARITA. ECC OCHE COSA È SUCCESSO
Si è temuto un gesto disperato dopo una crisi di pianto e di sconforto che non finiva più. Massimo Bossetti è crollato. I primi a sorreggerlo e confortarlo sono stati alcuni detenuti che gli erano vicini, poi gli agenti penitenziari che dal primo pomeriggio di venerdì scorso, quando i giudici della Corte di Cassazione si erano ritirati in Camera di Consiglio, lo sorvegliavano con attenzione. La direzione del carcere, infatti, aveva allertato i controlli in vista della sentenza. Bossetti già nei giorni che avevano preceduto l’ultimo verdetto appariva sfinito dalla tensione, segnato in volto e precocemente invecchiato. E alla fine dell’ultimo colloquio, mentre salutava il suo avvocato Claudio Salvagni, gli aveva consegnato una lettera: «Sono le mie ultime volontà nel caso fosse confermata la mia condanna». Questo è stato il drammatico commiato fra i due. Sembra un testamento. «L’ho abbracciato con l’angoscia nel cuore», ci confida Salvagni, «non so cosa possa accadere a Massimo che ha subito una tremenda ingiustizia perché oggi più chemai sono convinto della sua innocenza. È stato stri- tolato da un sistema che non gli ha consentito di difendersi. Venerdì sera, subito dopo la lettura della sentenza, ho chiamato il carcere. L’ispettore ha capito e mi ha assicurato che Massimo sarebbe stato piantonato a vista. Subito dopo gli hanno concesso, in via del tutto eccezionale, di fare una telefonata alla moglie».
HA SAPUTO DALLA TV DELLA CONDANNA A VITA
Bossetti aveva passato la giornata di venerdì incollato al televisore. E quando, poco prima delle 22.30, Quarto Grado ha dato in diretta la notizia della conferma della condanna a vita non ha retto. Due compagni di cella lo hanno abbracciato, altri lo hanno sorretto e un infermiere accorso prontamente lo ha sedato. Momenti drammatici nei quali attorno a quest’uomo accusato e condannato per uno dei delitti peggiori, nel carcere di Bergamo è scattata la solidarietà ed è esplosa la protesta. Molti detenuti della sua sezione si sono stretti attorno a lui e, in un altro braccio del penitenziario, si sono accese le luci nelle celle e i carcerati hanno cominciato a gridare dalle finestre: «Vergogna», «Giusti-
zia per Bossetti», «Libertà». Grande tensione e una lunga protesta rimasti entro limiti civili, mai degenerata in atti di violenza, ma che non può che avere un solo significato. Si riferisce alle regole non scritte che vigono nelle carceri. Chi vi entra per reati così infamanti, soprattutto se legati ai minori, spesso deve essere trasferito in sezioni protette per scampare a un massacro. Con Bossetti in tre anni e mezzo di detenzione non è accaduto. Non gli è stato fatto un graffio perché il carcere, il cosiddetto “tribunale dei detenuti”, lo ha processato e giudicato. Evidentemente fra quelle mura, dove a volte di certe terribili verità si viene a conoscenza prima che all’esterno, sanno o credono di sapere che l’assassino o gli assassini di Yara Gambirasio siano altri.
QUEI DIECI MINUTI NELLA NOTTE
Ed è anche per questo che si è temuto un gesto disperato nel momento in cui il muratore di Mapello ha capito che dal carcere non uscirà più, che, come lui stesso ha detto: «Ho perso tutto». Anche perché Bossetti l’aveva preannunciato: «Resisto finché pos- so sperare nella giustizia. Dopo, che senso ha una vita così?» La lettera consegnata al suo difensore storico alla fine dell’ultimo colloquio sembra una conferma. Forse la sera dell’ultima sentenza lo ha salvato la telefonata alla moglie. Perché una volta sedato con un tranquillante Bossetti ha potuto parlare conMarita. Sono stati al telefono una decina diminuti fra lacrime e disperazione, poi al mattino dopo, Marita accompagnata da Fabio, il fratello di Massimo, e da don Fausto Resmini, il cappellano, è andata in carcere. «È un uomo distrutto», ha detto don