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I CONIUGI AGGREDITI A LANCIANO

BOTTE, FRATTURE E MUTILAZION­I. CARLO MARTELLI ENI VA BAZZANRI VIVONO LA NOTTE DA INCUBO. MALO FANNO SENZA RANCORE, GIOISCONO PERI L RITORNO A CASA E PERI L CALORE DELLA GENTE. E A CHINO N CAPISCE RISPONDONO :« NON È BUONI S MO È AMORE PERLA VITA»

- dall’inviato Giuseppe Fumagalli - foto Ignacio Maria Coccia/Contrasto

In esclusiva raccontano la loro notte di terrore.

Li abbiamo visti la prima volta stesi in un letto d’ospedale come vittime indifese di una violenza cieca. Li ritroviamo meno d’un mese dopo come una coppia di eroi del nostro tempo. Carlo Martelli e Niva Bazzan sono un uomo e una donna come tanti altri, ma vederli sorridere della cattiveria e della sofferenza patite, li fa apparire al cospetto dei loro aguzzini come due giganti. L’Italia li conosce come i coniugi di Lanciano (Chieti). Nelle prime ore di domenica 23 settembre, sono stati sorpresi nel sonno da una banda di rapinatori giovanissi­mi e spietati, sono stati tenuti in ostaggio fino all’al- ba, massacrati di botte e minacciati dimorte. Sono tornati a casa e portano ancora i segni della furia bestiale con cui sono stati colpiti. Lui indossa ancora un collare. Nascosta dai capelli biondi la donna ha una medicazion­e: copre l’orecchio che le è stato staccato con una roncola. Ilmarito ha una vertebra rotta, un mignolo e un dito del

piede fratturati. Volto e braccia sono ancora gonfi, pieni di lividi, ematomi, cicatrici. Eppure non si lamentano. «Poteva andar peggio», dice l’uomo, «in casa c’era anchemio figlio invalido al cento per cento. Eravamo terrorizza­ti ma uno dei banditi ci ha assicurato che non l’avrebbero toccato». La moglie annuisce: «Almeno in quello hanno mostrato un briciolo di umanità», commenta. «Quel ragazzo è la nostra vita. Abbiamo creato per lui ambienti dove potesse realizzars­i almassimo delle sue possibilit­à e abbiamo stimolato la creazione di strutture pubbliche al servizio di chi ha gli stessiprob­lemi. La vitam’ha insegnato ad accettare la diversità fino a farla diventare qualcosa di normale». Su un divano della sala, abbracciat­i l’uno all’altra, Carlo e Niva non smettono di guardare avanti. «Ho sempre preso la parte bella delle cose», continua lui, «e qui di bello c’è il calore della gente, i messaggi, lemail, uomini e donne che salutano, dicono che ci sono vicini e hanno pianto per noi».

«SONO FELICE PER GLI ARRESTI E SPERO CHE PAGHINO PER ILMALECHE HANNO FATTO»

Per la donna il momento più bello è stato il rientro a casa: «È stata una magia», dice lei, «avevamo lasciato il caos e abbiamo trovato un ordine perfetto. C’erano Federica e Carlotta, le nostre due figlie, i consuoceri, amici e parenti, ed è stata come una festa. Quando siamo rimasti soli ho avuto un attimo dimalincon­ia. Passerà. Adesso bisogna andare avanti». Su come procedere la donna ha le idee chiare. Ne ha parlato, ma non tutti hanno capito. «Hopronunci­ato laparola perdono», spiega, «e subitom’hanno accusato di buonismo. Vorrei chiarire una volta per tutte. Cosa credete, che non abbia gioito per l’arresto dei rapinatori? Hanno sbagliato, pagheranno e sono felice che paghino. Il perdono di cui parlo non è quello del prete, mi riferisco a qualcosa di più personale. Qualcosa che devi cercare dentro di te e ti dà la forza per ritrovare serenità, senza lacerare il tuo animo conrabbie, rancori, desideri di vendetta». Sono parole che fanno apparire l’incubo del 23 settembre un evento remoto. Bisogna insisterep­er convin ceremarito emoglie a riviverlo. Alla fine lo fanno. Ricostruis­cono le mosse dei banditi. Tornano nelle stanze del pestaggio. Raccontano le ore di prigionia, inbalia di una banda di pazzi, apparentem­ente pronti a tutto, anche a uccidere.

UNA TEMPESTA DI COLPI

«Miamoglie doveva alzarsi presto per andare a Roma e ci siamo coricati in stanze separate», racconta Carlo, chirurgo inpensione. «Verso lequattro ho visto un faretto chemi puntava. Poipiù nulla». È l’ultimo ricordo. Dall’istante successivo s’è abbattuta su di lui una tempesta di colpi. «Era come un sogno», continua, «mi sentivo circonda- to da extraterre­stri e animali feroci. Quando ho ripreso i sensi ero a terra in una pozza di sangue. M’hanno sollevato, m’hannomesso a sedere sul letto e ho visto trascinare nella stanzaNiva. Aveva un nastro sulla bocca, l’hanno messa su una sedia e m’ hannominac­ciato: “Dicci dov’è la cassaforte o la facciamo a pezzettini”. Non c’è nessuna cassaforte, ripetevo io. E ogni volta m’arrivava una scarica di pugni. Il più cattivo, sempre lui, a un certopunto ha tolto il nastro adesivo amiamogli e el e ha staccato l’orecchio con una roncola. È tornato verso di me: “La cassaforte”, ha urlato. Ero convinto che ci avrebbero ammazzati. Ho scosso la testa, ho detto che non c’era e forse, davanti alla crudeltà di quel gesto, è stato evidente che dicevo la verità. Hanno preso le carte di credito, gli abbiamo dato il Pin e sono usciti alla ricerca di uno sportello automatico. L’unico bandito rimasto ha avuto un gesto di pietà e ci ha portato da bere».

L’ORECCHIO STACCATO

In parallelo, nella stanza accanto a quella di Carlo, Niva ha sentito delle mani che la afferravan­o: «Mi hanno schiacciat­o la faccia sul cuscino», racconta, «mi hanno buttato a terra, mi hanno tappato la bocca col nastro adesivo e mi hanno portato nella stanza accanto. Seduto sul letto c’era Carlo pieno di sangue e ho capito tutto. Quando il capo della banda mi ha strappato il nastro ho provatound­olore fortissimo, ma per l’orecchio praticamen­te non ho sentito nulla. Me l’ha staccato di netto e l’ho capito quando ho visto colare il sangue e il mio orecchio gettato sul comodino». Èun dettaglio che ha inorridito l’Italia e il mondo. Ma nella villa in periferia di Lanciano dove tutto è successo non se ne fa un dramma. «Ci sono cose più grandi», riprende Carlo. «Stare accanto amio figliom’ha insegnato che non c’è sempre bisogno diparlare, la vita è anche fatta di sorrisi, con quelli lui ti capisce e tu capisci lui. E magari t’accarezza pure».

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 ??  ?? Immagini che hanno sconvolto l’Italia
Immagini che hanno sconvolto l’Italia
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Erano in sei li hanno presi tutti
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