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EDITORIALE

ABOSSETTI, COMEAOLIND­O E ROSA, È STATANEGAT­AL’ULTIMAPOSS­IBILITÀDID­IFESA. PERCHÈ?

- di Umberto Brindani

P oco dopo le 22 di venerdì scorso, nel “Palazzacci­o” romano dove ha sede la Cassazione, è stata scritta la parola fine sulla vicenda dell’omicidio di Yara Gambirasio. I giudici della Suprema corte, chiamati a decidere se doveva o poteva essere riesaminat­o il famoso Dna che incastra Massimo Bossetti, hanno detto che no, non ce n’è bisogno. Quel Dna è un po’ strano? È stato analizzato in assenza di contropart­i? Certi kit usati per l’esame erano scaduti? Potrebbe essere stato contaminat­o? Non perdiamo tempo, ha decretato la Corte: l’assassino è il muratore diMapello, che marcisca pure in galera. C hi di voi, care lettrici e cari lettori, ci segue da tempo sa che sul «caso Bossetti» il nostro giornale ha sempre espresso (e soprattutt­o documentat­o) ben più di una perplessit­à, esattament­e come abbiamo fatto per altri fatti tristement­e celebri, come la strage di Erba, il delitto di Perugia e l’omicidio di SimonettaC­esaroni in via Poma a Roma. Sarebbe facile parlare di garantismo, anche se di questi tempi è diventata una brutta parola, quasi come buonismo. Ma vi garantisco, scusate il bisticcio, che il garantismo, soprattutt­o se vacuo e preconcett­o, non c’entra niente. Sono in ballo questioni cruciali. Questioni di civiltà, non solo giuridica. D etto in soldoni: a me non interessa una giustizia purchessia. Io voglio la Giustizia, con lamaiuscol­a e l’articolo determinat­ivo. Vorrei che chi sbaglia paghi solo se si è sicuri che ha sbagliato. E come si fa a esserne sicuri? Semplice: occorre provare la colpevolez­za «al di là di ogni ragionevol­e dubbio». Non lo dico io, l’ho messo tra virgolette perché quella frase è il fondamento del nostro diritto e compare nel comma 1 dell’articolo 533 del Codice di procedura penale. Controllat­e, se non vi fidate. Quindi, se capisco bene la logica di quella frase, quando esista anche solo un «ragionevol­e dubbio» bisogna fermarsi un attimo e chiedersi: come facciamo per sgombrare il campo da questa incertezza? Non c’è che unmodo: lavorarci sopra, indagare ancora, approfondi­re, valutare eventuali errori, tanto più se eventualme­nte commessi in buona fede. E se dopo un supplement­o di inchiesta il «ragionevol­e dubbio» viene fugato, bene, si può condannare. Viceversa, se il fastidioso dilemma resta lì, immobile e tenace, be’, la legge parla così chiaro che più chiaro non si può: bisogna assolvere. Anche a rischio di rimettere in libertà un assassino. P uò non piacere, me ne rendo conto. Un’assoluzion­e di questo tipo ricorda la vecchia «insufficie­nza di prove», per cui si passa da un’inquietudi­ne all’altra, e cioè dal dubbio che Tizio sia un innocente in prigione al dubbio che in realtà si metta fuori un colpevole. Ma c’è poco da fare. Come scrivono gli americani anche nei cartelli lungo le interstata­li, « It’s the law! », è la legge. Humphrey Bogart aggiungere­bbe: «E tu non ci puoi far niente. Niente». E cco perché lascia perplessi la decisione dellaCorte di Cassazione su Bossetti. L’accusato, che si dichiara innocente, chiedeva di riesaminar­e il Dna. Se vengo fuori ancora io, diceva in sostanza, mi becco l’ergastolo e me lo merito. Ma se invece… Bastava poco. Ne hanno analizzati 18mila, diDna, in questa indagine, che problema c’era a riesaminar­ne uno, il 18 mila unesimo? Eppure questa facoltà non è stata concessa. P er la strage diErba, per la qualeOlind­o e Rosa stanno scontando il «fine pena mai», è accaduto anche di peggio: alcuni reperti che non erano mai stati analizzati, mentre un paio di tribunali si palleggiav­ano la decisione, sono stati sempliceme­nte distrutti. Bruciati prima della sentenza sul loro eventuale esame. Errore? Malafede? Chi lo sa. E pensare che non erano neanche ingombrant­i: un mazzo di chiavi, un accendino, dei peli. Probabilme­nte occupavano qualche centimetro cubo di spazio. Evidenteme­nte troppi per una giustizia senza la maiuscola e senza l’articolo determinat­ivo.

 ??  ?? Massimo Bossetti, 47, dopo tre gradi di giudizio è stato condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio, avvenuto il 26 novembre 2010.
Massimo Bossetti, 47, dopo tre gradi di giudizio è stato condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio, avvenuto il 26 novembre 2010.
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