Abusi/2EnoveComuni sudieci sono a richio: che fare? di Marco Merola
IL CAMBIAMENTO CLIMATICO STA GIÀ COLPENDO L’ ITALIA: IL MARE È CRESCIUTO DI 6 CM IN 20 ANNI E LA TEMPERA TURASI È INNALZATA. L’ UNICA SOLUZIONE È METTERE INSICUREZZA IL PAESE, INVESTIREI N NUOVE TECNOLOGIE E ADATTARCI. MA SIAMO MOLTO IN RITARDO
Mentre l’Italia è intenta a leccarsi le gravi ferite inferte dalla natura (non si parli più di “maltempo” e non si utilizzi la parola emergenza, per favore) c’è ancora qualcuno che si domanda il perché di questa mini-apocalisse. Le strade mangiate dal mare e i porti sconquassati in Liguria, le tonnellate di fango che hanno risucchiato centri abitati in Trentino e in Veneto, i disastri del Friuli, intere montagne che appaiono come pettinate dalla mano di un gigante e poi le violentissime tempeste abbattutesi sulla Sardegna e la Sicilia. Scenari drammatici a cui bisognerà abituarsi. Siamo al centro del Mediterraneo, quello che gli esperti hanno definito senza mezzi termini «uno dei più grossi e vulnerabili hotspot del cambiamento climatico del XXI secolo».
SITUAZIONE ROVENTE
Alle nostre latitudini la temperatura si è alzata di 1.4 gradi dall’Ottocento a oggi (quasi mezzo grado in più rispetto allamedia globale) e il mare è cresciuto di 6 centimetri negli ultimi vent’anni. Il mare, già, la cartina al tornasole della rapida evoluzione climatica. «A breve comparirà sulla rivista scientifica Climate Dynamics uno studio della Med-Cordex ( gruppo internazionale di ricercatori che ha concentrato la propria attenzione sull’area mediterranea, ndr)», anticipa Gianmaria Sannino, responsabile del Laboratorio di Modellistica climatica e impatti dell’Enea, «e mostrerà che le ondate di calore che interesseranno il Mediterraneo da qui alla fine del secolo saranno più durature ( fino a tre mesi in più rispetto alle attuali, ndr) e fino a 50 volte più severe in termini di perdita di biodiversità e tropicalizzazione delle comunità marine». Condizioni di calore così persistenti si tradurranno in piogge e tempeste sempre più estreme. È ormai evidente che l’opera di mitigazione del cambiamento climatico (cioè il contenimento dell’anidride carbonica) promossa a livello mondiale non basti, da sola, a risolvere le cose. È l’uomo stesso che deve adattarsi alle mutate condizioni di vita sul pianeta. Molti Paesi lo stanno già facendo, l’Italia è in grave ritardo.
Se si pensa che nel 2050 il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città una delle priorità assolute diventa dunque lo urban re-design (aumento degli spazi verdi per abbassare la temperatura, gestione e riuso delle acque piovane attraverso collettori e “piazze d’acqua” ecc.). Da noi, tranne pochi virtuosi casi ( Milano su tutti, che ha deciso di ridurre del 4% la superficie edificata dell’area metropolitana e sta pensando addirittura di riaprire i Navigli) l’argomento non ha fatto breccia. E come i centri urbani anche campagne, colline, montagne e valli hanno bisogno di essere messe in sicurezza. Il know how c’è. Le casse di espansione per i fiumi ( bacini di appoggio per stoccare le acque in eccesso e depotenziare l’onda di piena) in primis. Ne sono state realizzate alcune in Lombardia, Emilia Romagna e Toscana; al Sud, nulla. Ma è chiaro che si dovrà anche far rispettare il divieto di edificare nei luoghi a rischio idrogeologico (che, come mostra l’ultimo rapporto Ispra, interessa il 91,1% dei Comuni italiani) altrimenti la probabilità di perdere altre vite umane rimarrà alta.
E LA PREVENZIONE?
Un articolato piano di prevenzione nazionale (con stima di spesa di 1,3 miliardi di euro) lo aveva elaborato Italia Sicura, struttura della Presidenza del Consiglio ma il Governo in carica ha deciso di azzerarla, definendola “ente inutile”. Capitolo coste. Sui giornali gli esperti rilanciano per muri e dighe, nessuno però dice quanto debbano essere alti perché non si sa come evolverà lo scenario climatico. Stesso discorso per i ripascimenti delle spiagge che poi durano lo spazio di una stagione turistica. La soluzione non sta lì ma nella strada intrapresa dagli olandesi (vedi box a sinistra) che il mare in casa se lo ritrovano tutti giorni. Usare fango per formare “zone cuscinetto“tra mare ed entroterra (si potrebbe realizzare a Venezia, altro che Mose…) e poi fare ripascimenti, sì, ma di lunga durata. Capendo, prima, come agiscono le onde delmare, come si muovono i venti, quali sono quelli dominanti, e con che forza spazzano la costa, altrimenti è come sparare a salve. Quel chemanca veramente è un database storico dei fenomeni che ci aiuti a fare le scelte più razionali. È amaro ammetterlo ma noi non conosciamo il nostro Paese.