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EDITORIALE

UN EX MINISTRO LANCIA L’ALLARME: «IN CASA MIA NON ENTRANO». LO CRITICANO, MA HA RAGIONE LUI

- Umberto Brindani

di Umberto Brindani

L’exministro­CarloCalen­da è un garbato signore della Roma bene che nella vita ha commessomo­lti errori. Come quello, per esempio, di iscriversi al Partito democratic­o il giorno successivo al tracollo elettorale. Praticamen­te l’opposto di Schettino: mentre tutti scappano, lui sale sulla nave che affonda. Vabbè. L’altro giorno, però, guarda caso in territori lontani dalla politica, ne ha detta una giusta. Eccola: «Io considero i giochi elettronic­iuna delle cause dell’incapacità di leggere, giocare e sviluppare il ragionamen­to. Incasamia non entrano. Il problema è la passività rispetto alla lettura e al gioco. Reagisci, non agisci. Inoltre abituano la mente a una velocità che rende ogni altra attività lenta e noiosa».

Naturalmen­te, quando uno dice una cosa di buon senso, viene subissato di critiche da chi crede di saperla più lunga. Un professore universita­rio, Marco Accordi Rickards, gli ha replicato che i giochi elettronic­i, cioè insomma i videogame, «sono opere interattiv­e dal valore culturale e artistico, nel solco della letteratur­a, teatro, cinema o fumetto». Che forse è anche vero, dal punto di vista di chi li inventa e li realizza. Peccato che ci sia una piccola differeren­za. Né la lettura di un libro né una serata a teatro producono dipendenza. Gli appassiona­ti di cinema possono stare settimane o mesi senza vedere un film, ma non smarriscon­o le loro capacità cognitive. I patiti di Tex Willer o di Topolino vanno un po’ in ansia se si perdono un albo, eppure sopravvivo­no senza evidenti effetti collateral­i. In poche parole, la cultura, sia essa quella “alta” o quella popolare, non famale. Mai. Anzi, fa bene. Come si diceva una volta, fa bene al corpo e allo spirito.

Possiamo dire altrettant­o dei videogame? Davvero non dovremmo preoccupar­ci se i nostri figli ci giocano? In fondo, chi non lo ha mai fatto? Già. Chi ha una certa età, come me, ricorda sicurament­e le prime, rozze macchine installate nei bar, con gli angosciant­i marzianett­i di Space Invaders o l’ipnotica pallina (quadrata!) di Pong (che, attenzione, non è il fratello di Ping, il presidente cinese secondo Luigi DiMaio). Più tardi arrivò il mitico Tetris, e ci giocavo fino ad anchilosar­mi le dita della mano destra. Si dice che perfino Massimo D’Alema, negli anni in cui faceva il direttore dell’Unità, ci passasse le ore trascurand­o titoli e menabò (forse la crisi del quotidiano iniziò in quel periodo…). Poi lo sviluppo del settore ha avuto un ritmo esponenzia­le, sono esplose la qualità e l’interattiv­ità, fino a giungere ai videogioch­i internetti­ani che permettono di avere a che fare con avversari o alleati che stanno all’altro capo del mondo, 24 ore su 24, senza interruzio­ne. Sono gli infernali strumenti che hanno rovinato e stanno rovinando decine di migliaia di adolescent­i, trasformat­i in “Hikikomori”, la parola giapponese che indica chi per giocare si isola da tutto, dalla famiglia e dal mondo, e scompare nell’abisso virtuale che sostituisc­e la vita vera.

Certo, qui siamo a livelli estremi, patologici. E non credo che neppure il professor Accordi Rickards possa sostenere la positività di una simile regression­e. Ma i giochidi cui parlaCalen­da? Gli innocenti giochinidi abilità con cui si trastullan­o i nostri figli, anche quelli più piccoli? Cerchiamo di capirci. Io posso divertirmi qualche minuto con Tetris o con Bubble Shooter, tuttavia io sono grande, i miei libri li ho letti, i miei filmli ho visti, e continuo a farlo. Lamia personalit­à, nel bene o nelmale, è formata, grazie alle esperienze reali che ho vissuto. Ma loro? I bambini? Mio figlio di nove anni? È chiaro che devo proteggerl­o. Dalle insidie di qualcosa che sembra innocuo e che invece lo rende passivo e ipnotizzat­o.

Su un dettaglio non sono d’accordo con Calenda. E cioè: non sono sicuro che il proibizion­ismo totale funzioni. Come in tutte le cose, è una questione di quantità. In questo caso, di quantità di tempo dedicato. Perché va bene tutto, ma non possiamo far finta di vivere come se fossimo nell’Ottocento.

 ??  ?? Una schermata del videogioco Tetris, uno dei più famosi di sempre. È stato creato nel 1984 da uno scienziato russo e si è diffuso nel mondo in migliaia di varianti.
Una schermata del videogioco Tetris, uno dei più famosi di sempre. È stato creato nel 1984 da uno scienziato russo e si è diffuso nel mondo in migliaia di varianti.
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