Vallanzasca divorzia Parla la ex: «È rimasto un inguaribile playboy»
«IL PROBLEMA È CHE ABBIAMO PROSPETTIVE DIVERSE », DICE ANTONELLA D’ AGOSTINO, AMICA D’ INFANZIA DELPL URI ERGASTOLANO, TUTTORA IN CARCERE. D ACUI SI È SEPARATA 10 ANNI DOPO LE NOZZE .« RENATO VIVE NELLA SMANIA DI RECUPERARE IL TEMPO PERDUTO»
Il nostro divorzio è stato breve e consensuale. E ha fatto scalpore. Io e Renato siamo un po’ come Al Bano e Romina. Ora l’Italia ci guarda e ci chiede di tornare insieme». Antonella D’Agostino, 70 anni, da Mondragone, ha uno spiccato senso dell’ironia. Ce n’è voluta, non poca, per attraversare incolume tutti i tornanti di una vita spericolata accanto al suo ormai ex marito, il pluriergastolano Vallanzasca. «Eppure sono ancora qui. Magari non scoppiodi salute, ho due polmoni fuori uso, per colpa dell’aria inquinata della pianura Padana. Io sono nata in Campania, nella patria dellemozzarelle di bufala. Non mi sono mai abituata al clima del Nord», tossisce convulsiva. «Il “bel René”, come lo chiamate voi giornalisti, è la mia persona. Ma andrò avanti senza di lui. Ora sono completamente assorbita dal lancio del mio primo film, La Casalese, un omaggio allamia terra», rivendica con voce squillante la neo regista Antonella. Che proprio in questi giorni ha sancito legalmente la conclusione del suo decennalematrimonio con il bandito della Comasina. Un protagonista della cronaca nera italiana a cavallo tra gliAnni 70 e 80. A suon di rapine,
omicidi ed evasioni. «Ci siamo conosciuti da piccoli, a 10-11 anni. Vivevamo entrambi al Giambellino, un quartiere popolare di Milano. Vallanzasca era stato parcheggiato lì dalla madre, che aveva pensato bene di affidarlo alle cure della donna cui aveva sottratto l’uomo. Io invece stavo da mia zia, che faceva la parrucchiera», racconta Antonella. «Fra di noi scattò subito una simpatia speciale. Eramolto protettivo conme, guai a chimi disturbava. Lui all’epoca soffriva tanto per l’assenza della mamma. Mi facevamale vederlo così triste, quando lei gli prometteva che passava a trovarlo e poi non si faceva vedere. Per consolarlo, allora, gli davo un mandarino o dei biscotti». Baci rubati? «Mai! A ben pensarci, eravamo più fratello e sorella, che fidanzati. Renato probabilmente aveva svegliato l’istinto di crocerossina che ho sempre avuto. Ci perdemmo di vista, quando lui si trasferì a casa dellamadre e io andai a fare la parrucchiera in via Montenapoleone. Mi sposai minorenne con il proprietario. Era un matrimonio felice, ma accadde una tragedia che mi spezzò il cuore per sempre. Non ne voglio parlare. Non l’ho mai fatto e non lo farò mai. Quel fatto distrusse le mie nozze. E rischiava di distruggere anche me». Siamo nel 1972. «Stavo malissimo. Pensavo spesso al suicidio. Avevo bisogno di sentirmi utile per qualcuno». E qui torna in scena Vallanzasca. «René seppe del mio immenso dolore. E mi fu vicino. Ma in quello stesso anno fu arrestato. Provai una grande amarezza. Il legame tra di noi era rinato più forte di prima. Perché eravamo cresciuti, frattanto. Eravamo più consapevoli. Lui l’ha anche scritto in un libro che sono il suo grande amore. Io non ho ancora capito cosa ci legava così tanto. Forse non lo capirò mai. Certo è che mi riempiva la vita. Mi impegnava. Mi faceva sentire viva.
Non ho mai avuto altre storie». Qui si entra in una zona minata. Vallanzasca affianca al côté criminale una consolidata e provata fama di rubacuori. La fedeltà non è il suo valore di riferimento. Il cronista non ha cuore di toccare l’argomento. Il tatto ha le sue regole. Ci pensa Antonella a toglierlo da ogni impaccio con piglio disinvolto. «Lui è stato con tantissime donne e mi ha tradito. L’ho sempre saputo. Ho cercato di andargli incontro. Io sono di ampie vedute. Capisco le esigenze degli uomini. Ma fino a un certo punto. Una volta ho affrontato un’impiegata di banca che se la faceva con René proprio sotto casa e gliene ho dette quattro. Però non sono state solo le corna a farci divorziare». Ci sarebbe anche un altro matrimonio a carico del pregiudicato, celebrato nel 1979. «Quello fu una farsa», reagisce con foga Antonella. «Non significò nulla. Lui e la sua “fan”, e dico fan tra virgolette, si sposarono soltanto per celebrare la pace tra Vallanzasca e Francis Turatello, che fece da testimone. Entrambi vollero mandare un messaggio all’esterno del carcere».
«PERÒ NON DEVE MORIRE IN PRIGIONE»
Le scappatelle non del tutto. Le nozze con la “fan” no. Insomma, qual è la causa scatenante del divorzio dell’anno? «Abbiamo avuto due percorsi diversi e vogliamo cose differenti. Questione di prospettive. Io ho vissuto la mia vita. Sono una donna in pace con se stessa. Lui invece è un’anima in pe- na. Sente il bisogno compulsivo di recuperare gli anni tracorsi in carcere. È in preda alle smanie. Spesso vede in me un guardiano, perfino peggiore di quelli con la divisa. E lo capisco anche. Ha passato e sta passando in cella praticamente tutta la sua esistenza. È un uomo completamente diverso. Ecco perché comunque io non smetteròmai di battermi per lui. Merita almeno la semilibertà. Non deve morire in prigione. Noi due abbiamo condiviso emozioni fortissime: ansie con il cuore in gola, gioie e litigi. Non dimenticherò mai l’incontro per il suo primo permesso, nel 2005. L’agente che suona e si qualifica, io che penso mi debba dare qualche terribile notiziaeRené che grida da dietro la porta: “Sono io, stai tranquilla”». Un vissuto talmente intenso lascia qualche spiraglio? «Non lo so! Una volta gli ho detto: “Ci rivediamo quando avrai fatto pari e patta con il tempo perduto”». Siamo nelle mani di Proust.