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Il gommista di Arezzo Cosa c’è dietro il caso che ha sconvolto l’Italia di Fiamma Tinelli

LE NOTTI PASSATEAFA­RE LAGUARDIA. LA SFIDUCIA NELLE FORZE DELL’ORDINE. IL TERRORE DI PERDERE TUTTO. «DENUNCIARE NONSERVE, CI PENSODAME», RIPETEVA. «È UNA BRAVA PERSONA», LO DIFENDONOI­N PAESE. MA C’È ANCHE CHI DICE: «SE PRENDI UNA PISTOLA, SAIGIÀ CHE UNGIOR

- dall’inviata Fiamma Tinelli

Un foglio appiccicat­o con lo scotch sventola nervoso sul cancello: «Io sto con Fredy», c’è scritto. Per il resto, in via della Costituzio­ne, nella zona industrial­e di Monte San Savino, c’è solo silenzio. Saracinesc­he abbassate, finestre mute. Sul piazzale della Pacini gomme - vendita pneumatici e biciclette di gamma - Marika Pacini, la figlia di Fredy, si stringe nel piumino blu e accende una sigaretta. «Come sta mio padre? Se lo può immaginare», dice. «Sono giorni difficilis­simi». In famiglia eravate d’accordo che dormisse qui per fare la guardia alla ditta? Marika fa per rispondere, poi guarda lontano. E tace. La notte del 28 novembre Fredy Pacini ha ferito a morte Mircea Vitalie, plurigiudi­cato moldavo che si era introdotto nel suo capannone armato di un piccone. Dei cinque colpi esplosi da Pacini con la sua Glock semiautoma­tica, due hanno colpito Vitalie: uno al ginocchio e l’altro, mortale, all’arteria femorale. Sarà la magistratu­ra a stabilire se il proiettile che ha ucciso abbia colpito ilmoldavo frontalmen­te o di rimbalzo e se Fredy abbia agito per legittima difesa. Quello che diventa chiaro girando per il paese, però, è che questa era una tragedia annunciata.

IL LETTO SUL SOPPALCO

«Me lo sentivo che finiva così». Il giorno dopo l’incidente, Pacini dice queste parole all’amico Roberto, meccanico. Roberto Zappalorti e Fredy si conoscono da una vita: l’officina AutoEsse e la Pacini gomme condividon­o lo stesso piazzale. E insieme, nel 2007, i due uomini hanno preso il porto d’armi, per uso sportivo. Con Zappalorti, il gommista tempo fa aveva stretto un accordo: se suonava un allarme, uno dei due andava a controllar­e. «Dopo un furto di bici da 40mila euro, però, Fredy ha preferito venire a dormire qui. Diceva: “Non ce la faccio più, ora ci penso da me”», racconta il meccanico. Un letto sul soppalco, il cane da guardia di sotto: nel capannone, quattro anni fa Pacini aveva costruito la sua parvenza di casa. Pronto a difendere la sua proprietà, da solo. Tanto che quello del 28 novembre è stato un incidente solo a metà, se è vero che Pacini avrebbe

già sparato in aria, duemesi fa. «Non mi risulta», smentisce il suo avvocato. Ma a raccontarl­o, dicono al bar in cui Fredy beveva il caffè, è stato proprio lui, lamentando­si dell’ennesimo tentativo di effrazione.

LE DENUNCE SONO SEI

Trentotto furti in una manciata di mesi, ha detto Pacini. Per i Carabinier­i, la cifra è un’altra: sei le denunce dal 2014 a oggi, due per furto e quattro per tentato scasso. E allora, perché 38? In paese qualcuno mormora che ormai Pacini metteva in conto tutto, anche un graffio sulla serratura del cancello. Ma il problema sicurezza, in questo paesino perso tra colline e cipressi, esiste. «Se chiamo i Carabinier­i di notte, quelli devono partire

NON MI FIDO PIÙ DELLA GIUSTIZIA: CHI DELINQUE IL GIORNO DOPO ÈGIÀ LIBERO

da Cortona e per arrivare ci mettono un’ora: intanto chi mi protegge?», sbotta la titolare del bar a due passi dalle cinquecent­escheLogge deimercant­i. La giustizia, poi, lo tormentava. «Tempo fa, Fredy aveva assistito al processo di uno dei ladri che avevano tentato di saccheggia­rlo», racconta Giorgio Pulzelli, avvocato in paese. «Diceva che in aula quell’uomo lo guardava con aria di sfida, ne era sicuro. E quando il giudice lo assolse per tenuità del fatto, Fredy rimase senza parole. “Io non chiamo più nessuno, non serve”, mi disse, con uno sguardo inquieto. Non si dava pace».

QUI LO DIFENDONO TUTTI

«Lo scriva: Fredy è una bravissima persona», ripetono tutti. «Mai violento, solo un gran lavoratore». L’attività ereditata dal padre e ingrandita via via, la sveglia alle sei, le cene veloci in famiglia con le figlie e l’adorata nipotina Rama, le notti in ditta. Niente vacanze, né viaggi. Al massimo un giro in bici fra le colline della Val di Chiana, mentre la moglie Luciana gli dava il cambio a far la guardia. Eccola, la vita di Fredy Pacini. Una routine «assurda, da recluso», assicura un amico che ha un laboratori­o orafo a centometri dal capannone in cui è morto Vitalie e che svela a Oggi un altro tassello: «Fredy temeva che l’assicurazi­one lo mollasse. Avrebbe potuto migliorare i sistemi di sicurezza, ma non credo avesse i soldi: con la sua attività mica si fanno i milioni, la concorrenz­a delle vendite on line è quasi imbattibil­e. E la sua impresa dà damangiare a tutta la famiglia. Aveva paura di perdere tutto». Qualche giorno fa, a Monte San Savino si è tenuta una grande fiaccolata per Pacini. A sfilare lungo l’antico corso Sangallo erano in più di 1.500. Mancava solo Matteo Salvini, ma ha promesso che verrà presto: «Io sto con chi difende se stesso e la sua famiglia», ha detto il ministro. Daniele, tabaccaio in centro, scuote la testa. «Lo capisco Fredy, anch’io ho paura delle rapine», dice. «Una pistola, però, non la vorrei. Perché se la prendi, sai che un giorno potresti doverla usare. Per poi pentirtene tutta la vita».

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Per spaccare la vetrina ha usato un piccone
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