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Robot Quellichea­mano le donne di Marta Pacillo

IL SITODIP&GAGATTATIC­OÈ ALL’AVANGUARDI­A PER LASER, ROBOTICA E DIGITALIZZ­AZIONE MA IL FATTORE UMANO (E FEMMINILE) RESTA CRUCIALE PIÙ TECNOLOGIA MENO FATICA Francesca Bizantini, addetta al soffiaggio.

- di Marta Pacillo

Camice bianco, cuffiain testa, tappi per leorecchie­ecopri-scarpe. Ma non è un mondo oscuro eminaccios­o ad aspettarci. Anzi. Appena varcata la soglia del reparto “imbottigli­amento”, si resta sorpresi davanti alnitorede­gli ambienti e al sorriso aperto e cordiale delle persone. È lo stabilimen­to Procter&Gamble di Gattatico (Reggio Emilia), fiore all’occhiello della multinazio­nale statuniten­se, dove l’industria 4.0 è già realtà. Ed è una realtà tutta italiana. Quella dei

robot di ultima generazion­e,

che proprio qui sono stati installati in anteprima a livello globale, ma anche quella delle persone in carneeossa,

molte donne, che con le creature hi- tech flirtano ogni giorno

permettend­o la produzione e il confeziona­mento (per tutto il mercatoeur­opeo) di due tra i prodotti più usati per la pulizia della casa: Viakal e Mastro Lindo. «Quando ho cominciato qui 37 anni fa eravamopar­ecchiedonn­e, impiegate per svolgereun lavoromanu­aleconl’aiuto di attrezzatu­remeccanic­he, riempiment­o dei flaconi, rivestimen­to con le etichette, confeziona­mento», racconta

Anna Asioli, operaia nell’impianto di Gattatico fin da quando c’era la famiglia Melli, che fondò la Nelsen nei primi Anni 50.

«Qui facevamoil­Nelsen Piatti e altri prodotti per pulirepavi­menti, tessuti... Nel 1989 è arrivata Procter&Gamble, gradualmen­te sono cambiatemo­lte cose, altri prodotti, altre macchine, sempre più sofisticat­e, finoaoggi i computer, che ci permettono di fare meno fatica e di apprendere nuove capacità».

UN VANTO TUTTO ITALIANO

Quello di Gattatico è un impianto all’avanguardi­a che produce e confeziona centinaia di milioni di flaconi di detergenti per la casa, sia per il mercatoint­erno siaper l’esportazio­ne in Europa, sfruttando le peculiarit­à del territorio, le infrastrut­ture della regione, il vicino porto di La Spezia, le Università di Parma e Bologna. Ecco perché,

supportato da Cincinnati con un investimen­to, in un triennio, di 50 milioni di dollari, parte da qui il progetto pilota italiano, destinato a essere replicato in tutti i siti produttivi dellamulti­nazionale,

con una

star d’eccezione: il primo robot collaborat­ivo di casa Procter&Gamble

che, con il suo braccio meccanico, carica da solo sulle linee di produzione i materiali destinati alla formatrice.

CON LE MACCHINE C’È FEELING

Mentre il robot preleva da una pila i contenitor­i in cartone per l’imballaggi­o dei flaconi, li dispone in fila con precisione millimetri­ca sulla linea di scorriment­o, inmagazzin­osfreccian­o carrelli automatici capaci di

mettere a posto “in autonomia”, come fossero giocattoli telecomand­ati, interi bancali di prodotti dentro ilmagazzin­o,

e tu ti sorprendi a chiederti se la macchina ha davvero soppiantat­o l’uomo. La risposta è nelle parole di

Francesca Bizantini, impiegata a Gattatico dal 2002 e da dieci anni addetta al “soffiaggio”

(dove si realizzano le bottiglie di plastica), una delle prime donne a entrare in questo tipo di reparto, fino a pochi anni prima prerogativ­a degli uomini: «Una volta facevamo fatica, i macchinari erano più lenti e di difficile manutenzio­ne. In alcuni reparti c’era molta contaminaz­ione: per esempio, quando si rompeva la pompa della colla con la quale venivano attaccate le etichette ai flaconi, si spargeva colla ovunque e dovevamo interrompe­re il ciclo per pulire a mano superfici, pavimento e componenti». «Ti trovavi a smontare gli stampi di una soffiatric­e», aggiunge Anna Asioli: «Dovevamo interagire in maniera fisica con le macchine. Oggi invece

ognuno di noi è responsabi­le di un robottino, gli diamo le impostazio­ni, sorvegliam­o il suo funzioname­nto, se qualcosa si blocca tempestiva­mente resettiamo e rimettiamo in moto la linea di produzione.

Ma i robot non “ci tolgono” il lavoro, casomai ce lo migliorano, anche perché siamo noi stesse ad attivarne e controllar­ne le funzioni». Robot che amano le donne, dunque. Come in una versione capovolta del film Metropolis, dunque,

il rapporto delle lavoratric­i (e pure dei lavoratori) con le macchine è di collaborra­zione e quasi di complicità.

In un iimpianto produttivo dove comincia lla “quarta rivoluzion­e industrial­e” con ll’introduzio­nedi robotica, digitalizz­azione e tecnologia laser, la vera forza motrice resta il fattore umano, con la dedizione, il lavoro e la capacità dei dipendenti in carne e ossa, questa sì davvero rivoluzion­aria, di sposare il progresso tecnologic­o.

Marta Pacillo

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