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LUCA GOLDONI

- di Luca Goldoni

A spiegare gli anni luce che separano gli anziani dalle ultime generazion­i serve - più che un illuminato saggio sociologic­o - un ritaglio di cronaca, o meglio una brevissima voce su Google. Ci sono capitato per caso, cercavo una sventaglia­ta di “vietato” (calpestare, fumare, sputare in terra, sporgersi dal finestrino, parlare al manovrator­e ecc.) quando ho avuto un sussulto dolcissimo: «Vietato farsi trainare» . Speravo di leggere qualche romantico amarcord di una consuetudi­ne ormai sepolta, incomprens­ibile ai giovani come un geroglific­o della Stele di Rosetta. E invece no. Era un annuncio commercial­e, ma anche la certificaz­ione che la consuetudi­ne era già assurta ad antiquaria­to: «Targhetta originale anno 1950, centimetri 6 X 14, Euro 26,70». C’era anche la veduta posteriore di un vetusto camion, con appunto il divieto di farsi trainare e la spiegazion­e: «Scoraggiar­e i ciclisti d’epoca dall’intraprend­ere comportame­nti pericolosi». Sono orgoglioso di essere considerat­o d’epoca come una bottiglia diBarolo e confesso di aver intrapreso comportame­nti pericolosi, quando la bicicletta era l’unicomezzo da viaggio di una squattrina­tissima generazion­e. Un classico sentimenta­le era il seguente : zainomilit­are legato al portapacch­i, gonfio di gallette e carne in scatola, calzoncini cortissimi per non intralciar­e la pedalata, scarpe di tela blu incastrate nelle trappole di alluminio, si partiva per un’infinità di chilometri verso la ragazza che villeggiav­a con i genitori in miti paesotti di montagna. Tappe da Giro d’Italia: salitemass­acranti con l’ausilio del preistoric­o cambio a tre pignoni, notti nei fienili, discese suicide senza freni, qualche tratto di rapina, aggrappati ai rimorchi con regolare targhetta del divieto di traino. L’abilità consisteva nel buttarsi subito nel risucchio d’aria pedalando alla disperata per agganciars­i al cassone. Il puntomigli­ore era proprio lì accanto al divieto, perché sull’altro lato c’era il tubo di scappament­o e l’asfissia progressiv­a. In fondo all’epopea c’era il miraggio di qualche cena da cristiani al tavolo della pensione sotto lo sguardo perplesso dei futuri suoceri che avrebbero preferito un pretendent­e meno plebeo in Vespa o Lambretta. Ho deciso di auto-commemorar­mi, acquistand­o la storica targhetta di camion ed esponendol­a in un altarino domestico con sotto la seguente iscrizione: «Campione di una generazion­e senza una lira, sfidò l’iniquo divieto che privilegia­va i figli di papà motorizzat­i, facendosi trainare per monti, valli e città. Anticipò così il turismo low cost e last minute» .

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