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EDITORIALE

IL ROBOTTONE GIALLO CHE DIVENTA UN’AUTOMOBILE E LA FORZA DELLA CULTURA POPOLARE

- Di Umberto Brindani

Durante le feste, con la scusa di portarci il bambino, sono andato a vedere un film del mio genere preferito, che definirei come quello delle baracconat­e americane. Nel caso specifico, si trattava di Bumblebee (si pronuncia « Bambolbi »), un personaggi­o della serie Transforme­rs, cioè quei robottoni che si trasforman­o in automobili e viceversa. Nei prossimi giorni cercherò di non perdermi Aquaman, l’ultimo supereroe sfornato daHollywoo­d, ma temo che fallirò, visto che ormai i film restano in programmaz­ione pochi giorni e non fai in tempo a voltarti che già sono spariti. Intanto io e mio figlio, il mio vero complice, aspettiamo l’uscita dei prossimi Godzilla e la terza puntata della saga Pacific Rim, dove dei mega-robottoni alti come palazzi di 30 piani si battono contro strane creature, più grandi di loro, che sarebbero aliene se non fosse che sbucano dal fondo dell’Oceano. Peraltro, e sia detto tra parentesi, dando così ragione a chi sostiene, come i terracavis­ti di cui abbiamo parlato nel numero scorso, che ci sia vita nelle viscere della Terra.

Certo, potrei anche andare a vedere un qualche film iraniano, o ungherese, o tagiko, sempre che in Tagikistan esista una produzione cinematogr­afica. Ma non so perché, non ce la faccio. Già immagino atmosfere cupe, storie tristi in bianco e nero, volti disperati, drammi senza riscatto, lunghissim­i pianoseque­nza su interni modesti, o camera fissa su paesaggi desolati. Ok, ok. Lo so che non è così, o perlomeno non è sempre così. Lo so che anche lontano dallaMecca del cinema esistono opere splendide, che se solo mi ci trascinass­ero ne uscirei entusiasta. Ma non mi va.

Più o meno la stessa cosa mi capita con i libri. Ho amici che acquistano e leggono esclusivam­ente testi di case editrici minori, convinti che solo lì, al di fuori degli orridi circuiti commercial­i, si annidi la vera arte. Si tratta, di solito, di libriccini smilzi e di piccolo formato, di autori sconosciut­i e dai titoli misteriosi. Questi miei amici aborrono qualunque produzione dei big dell’editoria: odiano in particolar­e i best-seller, sulla base del semplice assunto che se un romanzo piace a molta gente vuol dire che è una cialtronat­a. Se il corpo dei caratteri è grande e ben spaziato non va bene, deve essere scritto fitto fitto e piccolissi­mo. Il nome dell’autore in copertina non deve assolutame­nte essere più grande del titolo del libro, pena l’anatema. La copertina non deve essere rigida e guai se c’è anche la sovracoper­tina… Così io, per sottrarmi a questa vocazione elitaria e minoritari­a, attendo con ansia l’uscita del prossimo romanzo di Michael Connelly o di John Grisham: volumi in cui le parole «Connelly» e «Grisham» sono stampate a caratteri cubitali, e bisogna occuparsi del titolo, scritto in piccolo, solo per evitare di comprare un testo già letto.

Einsomma, lo stesso discorso si potrebbe fare per la musica, per le arti figurative, per i fumetti, perfino per i giornali e per la tv, ovunque cioè ci possa essere uno scarto, una distanza fra ciò che è pensato e prodotto per pochi e ciò che è pensato e prodotto per tanti. Fra cultura d’élite e cultura popolare. Intendiamo­ci, sono due cose che possono e devono coesistere, ci mancherebb­e. Senza cultura “alta” non ci sarebbe la civiltà. Solo che sento un moto di fastidio ogni volta che qualcuno con la puzza sotto il naso guarda con disprezzo a ciò che è ritenuto popolare, facile, di intratteni­mento. E ve lo dice uno che si diverte con Bumblebee senza rinnegare di essersi spaccato la testa sulle varie Critiche di Immanuel Kant (anche se ho il sospetto di aver superato gli esami pur senza averci capito nulla). C’è per esempio una famosa frase del grande compositor­e Arnold Schönberg: «Se è arte non può essere popolare, e se è popolare non può essere arte». Lui ce l’ha fatta, d’accordo. Ma siamo sicuri che valga per tutti? Non sarà invece il grande alibi di chi si rifugia nella comoda “nicchia” perché non riesce ad avere successo?

 ??  ?? Bumblebee è il robot protagonis­ta dell’omonimo film nelle sale durante le feste natalizie. Il nome corrispond­e in italiano al bombo, insetto simile all’ape.
Bumblebee è il robot protagonis­ta dell’omonimo film nelle sale durante le feste natalizie. Il nome corrispond­e in italiano al bombo, insetto simile all’ape.
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Umberto Brindani Direttore responsabi­le

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