Attori transformers
IL FILM SUL CANTANTE DEI Q UE EN HA SBANCATO IL BOTTEGHINO E I GOL DENG LOB E. E ALTRI BI OP ICS O NO IN ARRIVO. IL SEGRETO DEL LORO SUCCESSO? LA TRASFORMAZIONE SORPRENDENTE DEGLI INTERPRETI NELLE ICONE POP: OLTRE ALLE PROTESI, C’ÈDI PIÙ
Ecco come si trasformano nelle icone pop
La radio trasmette canzoni dei Queen da quasi 40 anni. Ma dopo aver visto Bohemian Rhapsody, il film campione al botteghino e ai Golden Globe sul mitico Freddie Mercury, le ascoltiamo con orecchie diverse. Dentro ogni nota risuona lui, Freddie, la sua creatività incontenibile, la sua sensibilità musicale finissima, l’inquietudine sentimentale e il dolore per aver contratto l’Hiv, per essere costretto ad abbandonare così presto quella sua vita vissuta con la quinta sempre innestata. È una specie di magia. La sa fare il cinema che racconta i grandi personaggi di musica, politicaoHollywood: all'improvviso, i loro scritti, i loro film, le loro canzoni hanno tutt'altro sapore. I biopic, come si chiamano in gergo questi film biografici, spopolano: prima diMercury abbiamo visto da Elvis a Lincoln a Nixon, da Grace diMonaco a Marilyn a Chaplin; e ora stanno per arrivare MiaMartini, Elton John, Stanlio e Ollio... Perché la magia riesca, ci dev’essere un’alchimia di musiche, luci, battute, ma soprattutto di bravura dell’attore, studio appassionato di ogni video e documento esistente sul personaggio in questione, di infinite
conversazioni con chi lo conosceva, e ancora di minuziosissimo trucco, parrucco e, all’occorrenza, protesi. Adesso in sala c’è Vice - L’uomo nell’ombra: l’ex Batman statuario Christian Bale riesce a essere credibile nei panni dell’avanzatello, sovrappeso e potentissimo ex vicepresidente americanoDickCheney. Tanto da aver vinto un Golden Globe. Per riuscirci, ha studiato ogni tipo di documento sulla Casa Bianca di George Bush e hamesso su 18 chili con una dieta «di ginnastica e torte», ha scherzato; ha rasato la testa, schiarito le sopracciglia e si è ricoperto di protesi al silicone, almeno 100 pezzi. Ma, viene fuori dalle interviste, il suo Cheney è “nato” davvero quando Christian ha insistito per farsi ingrossare anche il collo. Perché c’è sempre un dettaglio che, a un certo punto, cambia tutto; che, più di ogni altro, aiuta l’attore- transformer a “sentire” il personaggio, e ispira la sua interpretazione.
CON I DENTI POSTICCI
Per Rami Malek (anche lui Golden Globe) sono stati i denti finti. Per diventare Freddie Mercury ha fatto di tutto: ha preso lezioni di ballo e canto, guardato fino allo sfinimento il video del Live Aid al Wembley stadium; ha persino studiato il dialetto Gujarati dell’India, la regione d’origine dei genitori di Freddie. Ma solo nelmomento in cui ha infilato in bocca i quattro incisivi in più, l’overbite firma di Mercury, «c’è stato un cambiamentomolto viscerale nella performance», ha con-
fidato. In Jackie Natalie Portman ha sentito Jacqueline Kennedy scorrerle «sotto la pelle» quando si è vista con i capelli cotonati. Daniel Day Lewis ha creduto per un attimo di essere davvero Lincoln nell’omonimo film di Spielberg quando è riuscito a immaginarne la voce. E alla fine ha vinto l’Oscar. Lo ha vinto anche Cate Blanchett per la sua Katherine Hepburn in The Aviator: si è “trasformata” impadronendosi della camminata del mito di Hollywood, del suo «passo fiducioso», così lo ha definito. E poi c’è Robert Downey Jr.: ha ottenuto la sua prima nomination agli Academy grazie a una bombetta. Per recitare il ruolo di Charlie Chaplin in Charlot, ha imparato a suonare il violino e a giocare a tennis con lamano sinistra. Ma, soprattutto, ha passato infinite ore a “giocare” con quell’iconico cappello, perché questa è stata la sua intuizione, il dettaglio che lo ha avvicinato alla più grande stella del cinema muto: imparare a interagire con gli oggetti di scena come se fossero vivi. Ma succede anche che questo dettaglio-chiave sia qualcosa di inaspettato. Per rendere la portentosa stazza di Ollio (il biopic Stan & Ollie uscirà a giugno), John C. Reilly ha recitato dentro un’enorme protesi di silicone: «Siccome faceva molto caldo a volte uscivo inmaniche di camicia con quel make-up e mi sedevo su una panchina», ha raccontato. «Passava gente che non sapeva che giravamo un film e vedeva in me solo un triste ciccione seduto su una panchina. Guardavano e distoglievano subito lo sguardo, li imbarazzavo se li guardavo a lungo. E ti veniva voglia di urlare “ehi, sono un essere umano, sono qui!”. Mi ha fatto pensare a cosa volesse dire essere Oliver continuamente. Per lui la grassezza faceva parte del suo lavoro, ma poi doveva tornare a casa con quel corpo, io avevo il lusso di potermi togliere quella maschera, ma Ollie ci viveva e questo mi ha suscitato molta compassione per il suo viaggio nella vita». Ritrovarsi a condividere la sofferenza di Ollio, questo ha permesso a Reilly di iniziare a comprendere il grande comico. Così da poterci restituire una goccia della sua umanità.