Umberto Smaila
LA COLLABORAZIONE CONWOODY ALLEN, I CORI CON JENNIFERLOPEZ, LA CHIAMATA DI TARANTINO. L’ EX DEI GATTI DI VICOLOMIRACOLI RACCONTAISUOI SUCCESSI
Racconta i suoi memorabili incontri a Hollywood
Milano, zona Sempione. Sulla parete in soggiorno, una gigantesca tela scura che pare di Caravaggio. «Dev’essere del Seicento emiliano. Almeno così mi giurarono quando la comprai, spe- riamo bene», dice Umberto Smaila. Dal comico-musicista-sdoganatore del sexy soft televisivo con l’immortale Colpo grosso, non ti aspetteresti un ambientino così. Poi spunta la moglie, Fanny, e quando commenti che si tratta di una gran bella signora,
lui ribatte a ruota, sornione: «Beh, insomma, è tutto rapportato...». Se la vuoi capire, l’autoironia è servita. Un flash fotografico su una carriera ormai lunghissima. «Eravamo con i Gatti di Vicolo Miracoli al Michael’s Pub di Manhattan, dove Woody Allen all’epoca suonava il clarinetto, dovevamo incontrarlo per un progetto. Era seduto tutto timidino a un tavolo con IsabellaRossellini e Oriana Fallaci. Si alzò, ci raggiunse e chiese: “Vi piace il mio jazz?”. La buttammo sul ridere: “Sì, beh, non male per uno che fa del cinema...”». Mi faccia capire: avete lavorato con Woody Allen? «La cosa alla fine non andò in porto, ma lui quasi ultimò un testo che avrebbe dovuto darci. Venne anche a Roma, con alcune curiose richieste». Per esempio? «Voleva che usassimo solo il suo nome all’anagrafe, Allan Stewart Königsberg, e chiese che delle belle donne lo accogliessero all’aeroporto».
Colpo grosso
fu la svolta della sua carriera. Sarebbe riproponibile, nel politicamente corretto di oggi? «Io non lo rifarei, ma da 16 anni non ha mai smesso di andare in onda in replica. Le critiche delle femministe non sono mai mancate, ma conservo recensioni entusiastiche di Beniamino Placido e Oreste Del Buono». Lo condusse anche Maurizia Paradiso, ma di lei nessuno si ricorda. «Dopo duemesi inziò a dire volgarità insostenibili e fu messa da parte». Quando Jerry Calà lasciò improvvisamente i Gatti per fare cinema, come la prendeste? «Ci fu una crisi profonda. Iomi sentii
tradito, non ci siamo parlati per anni. Nel quartetto c’erano due correnti, come nella Dc: una Smaila-Calà, l’altra Oppini-Salerno. Jerry era il mio sodale, non la mandai giù». E poi? «Dovevamo decidere se smettere o continuare in tre. Dopo una vacanza ai Caraibi chiamai gli altri, tornammo in pista e ci rifacemmo alla grande in tv con Quo vadiz ». Con Calà, come finì? «Dopo cinque anni di silenzio un comune amico, Rino Petrosino, ci fece siglare a denti stretti una pace difficilissima. Dopo ho fatto tante colonne sonore per i suoi film». Ha avuto la sua rivalsa: dopo che lei lanciò la moda delle serate live nei locali, Calà fece lo stesso. Di fatto, l’ha copiata. «Come disse Gesù, “Tu l’hai detto”. Posso dire che ho combattuto le discoteche, allora in voga, giocando sui lunghi medley riempipista, azzerando le pause, e tanti mi sono venuti appresso. Oggi io e Jerry ci dividiamo il mercato». La sua serata più bella? «Di certo la piùmagica fu un’improvvisazione qualche anno fa a Manhattan, da Downtown Cipriani, a Soho. Al tavolo con mia moglie iniziai a cantare qualcosa alla Pavarotti, poi altre canzoni. L’atmosfera si scaldò. Nel locale c’erano anche Puff Daddy, Jennifer Lopez, uno del Mossad. A un certo punto invitai tutti i commensali a prendere forchette e coltelli e a batterli sui bicchieri per fare insieme I can’t get no satisfaction. Poi spuntò perfino lamanager dei Rolling Stones che venne a chiedere dovemi esibissi. Un delirio vero, quella notte...». Ha un erede artistico? «Mio figlio Rudy, che si esibisce con me allo Smaila’s di Milano ogni giovedì e negli altri club. Non fidandosi dei chiaroscuri dello spettacolo, di mattina però fa anche il panettiere». Lei tiene ancora botta. Basta la salute. «Eh, mica tanta: mi sono rotto il femore due volte. Una diversi anni fa in un bagno turco alle Bahamas. La seconda lo scorso anno su un maledetto tapis roulant dell’aeroporto di Malpensa. La prima volta la ripresa fu veloce. La seconda no. Anche se dopo 20 giorni ero già a fare concerti sulla sedia a rotelle». Caspita. Neanche il Numero Uno del Gruppo TNT! «Esatto. Oppure, se preferisce, Ironside». Progetti lavorativi? «Ho scritto un pezzo che si intitola Canto rossonero, inno ufficiale degli ultras del Milan. Vorrei farne un cd con una specie di video corale stile Live Aid che metta assieme tutti i tifosi famosi della squadra: da Paolo Maldini a Massimo Boldi, passando per DiegoAbatantuono, ClaudioBisio e Renato Pozzetto». Che cosa pensa di Beppe Grillo: da comico a guru politico oggi a mezzo servizio? «Credo sia un po’ bipolare, come si direbbe inmedicina. È un amico e un grande comico. Adesso però deve fare i conti con la storia, perché ha creato una cosa che forse non prevedeva evolvesse in questo modo». La telefonata più inattesa della sua vita. «Il mio agenteaRoma, chemi chiamò dicendo, testuale: “Umbè, guarda che te sta a cercà Trentin Quarantino”. Al che intuii il nome, ma pensai immediatamente a Scherzi a parte ». Invece? «Invece era davvero Quentin Tarantino, che aveva visto il primo film per il quale scrissi le musiche: La belva col mitra, del 1977, con Helmut Berger. Pellicola che faticherei a definire di serie B, era almeno C. Era impazzito per una sequenza di sei minuti che aveva le mie note in sottofondo e la volle inserire nel suo Jackie Brown, dal cast stellare. Da allora prendo 2 mila dollari ogni volta che nelmondo qualche rete lo manda in onda. Non mi è andata poi così male».