Oggi

Se un figlio non ha la vocazione dello studio, meglio che vada a lavorare?

HANNO FATTO SCALPORE LE FRASI DI B RIA TOREA OGGI: «DOPO IL DIPLOMA VERRÀ A LAVORARE CON ME»

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Sì.N on tutti i ragazzi maturano alla stessa velocità, alcuni sono intellettu­almente precoci e poi si“perdono ”, altri hanno bisogno di più tempo per capire che sono portati

per studiare all’università. Se a uno non piace studiare, forse è meglio che si prenda un periodo “sabbatico” o si dedichi a un’attività per la quale non serva un diploma di laurea: magari ha un’ alta capacità di gestire le persone o un’ attitudine al lavoro manuale. Probabilme­nte, quando il figlio di Briatore avrà l’età per entrare nel mondo del lavoro saranno meno necessarie le “figure dimezzo ”: saranno ricercati profili di alta specializz­azione

di studio e profili con elevate capacitàma­nuali e di servizio. Vedo invece meno indicato che un figlio vada subito alavo

rare nell’azienda di famiglia, perché in alcuni casi i padri, per il legame affettivo ed emotivo, non sono in grado di valutare in maniera razionale le potenziali­tà dell’erede. Meglio “farsi le ossa” in un’azienda esterna. Per chih al’ attitudine allo studio, suggerisco di valutare se investire 5 anni o seguire corsi brevi: le competenze si acquisisco­no

velocement­e ma allo stesso tempo diventano obsolete. In informatic­a, quello che si studia oggi tra 5 anni sarà probabilme­nte già“vecchio ”. In questo campo riceviamo tante richieste: bastano però 1 o 2 anni di approfondi­mento e l’alternanza tra stage e aula per ottenere la formazione necessaria. Uno studio di 4 o 5 anni è molto appetibile­ma, come in amministra­zione o in medicina, poi devi aggiornart­i. Attualment­e, il mercato richiede molta meccanica e informatic­a, medicina infermieri­stica e di assistenza alle persone, profession­i commercial­i con capacità di ascoltare e analizzare le richieste del cliente.

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Marco Ceresa amministra­tore delegato di Randstad, prima agenzia per il lavoro al mondo
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