Reatodi maltrattamenti: ecco cosa dice la legge
PERARRIVAREALLACONDANNAIL CRIMINE DEV’ESSERE REITERATO. MANONFINISCEQUI
Dopoquantotempotrascorso insieme sotto lo stesso tetto si può parlare di “convivenza” - dunque, di un legameche, al pari delmatrimonio, abbia i connotati della progettualità, della solidarietà e dell’assistenza - e non di semplice, temporanea coabitazione? È una domanda importante perché, in caso di maltrattamenti all’interno di una coppia, un legame matrimoniale o una convivenza more uxorio sono rilevanti nel configurare il reato. LaCassazione si è di recente pronunciata (Sentenza n. 56673 depositata il 17.12.2018) su un caso di violenze consumate nell’ambito di un rapporto di convivenza, ravvisando la sussistenza del reato di maltrattamenti (di cui all’art. 572 c.p.) anche se la convivenza era durata soltanto 29 giorni. Ventinove giorni in cui l’uomo aveva sistematicamente tenuto condotte prevaricatrici, manesche, ingiuriose e sprezzanti, in seguito alle quali la compagna - che per lui aveva lasciato il marito e la propria città di origine - si trovava in uno stato di profonda prostrazione. L’uomo - che in precedenza l’aveva assistita durante la degenza successiva a un interventochirurgico- ha contestato la sentenza che lo aveva condannato a tre anni di reclusione permaltrattamenti e ha proposto ricorso in Cassazione. Ha affermato innanzitutto che lui e la donna non formavano una coppia di fatto e che tra loro c’era un semplice legame sentimentale; in secondo luogo, che i rapporti sessuali intrattenuti nel corso della brevissima coabitazione erano stati consenzienti - dunque, non ci sarebbe stata quella sequenza (la cosiddetta “abitualità”) di atti prevaricatori causadi sofferenzefisiche e morali richiesta dall’art. 572 c.p. Nel respingere il ricorso, la Corte di Cassazione ha fatto alcune precisazioni decisive per la tutela penale di chièvittimadimaltrattamenti all’internodi un rapportodi convivenza. Al di là della coabitazione, anche se breve, la Corte ha ritenutoinfatti che il carattere stabile del rapporto di convivenza - caratterizzatodauna progettualitàdi vitacomune- sidesumesse, in particolare, dalla dichiarazione anagrafica resa dalla coppia all’ufficiodelComunedi residenza dell’uomo (presso il quale la donna si era trasferita). Si tratta, più precisamente, della dichiarazione rilasciata ai sensi dell’art. 1, comma37, della Legge n. 76/2016; legge che ha introdotto la disciplina delle convivenze, precisan-
do che si intendono per «conviventi di fatto» duepersonemaggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenzamorale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonioodaun’unionecivile. Questa dichiarazione, rimessa all’iniziativa della coppia, rappresenta - specifica la Cassazione - ilmeccanismocostitutivo della convivenza giuridicamente rilevante; la conseguente certificazione anagrafica è sufficiente a dimostrare, a ogni effetto di legge, la sussistenza del rapporto di convivenza: non sono dunquenecessariulteriori accertamenti in materia ed è irrilevante qualunque ulteriore indagine sullanaturadei rapporti che legano le persone dichiaranti. In merito poi all’altra censura mossa alla sentenza di condanna (mancanza di abitualità della condotta), i supremi giudici ribadiscono che elemento rilevante ai fini del reato è il nesso di abitualità che collega gli atti vessatori, legati dall’intenzione criminosa di ledere l’integrità fisica e morale della vittima; nesso che non viene meno anche se la vittima ha episodicamente intrattenuto con l’imputato rapporti sessuali consenzienti. Tali rapporti costituiscono semmai l’esplicitazione del rapporto di convivenza all’interno del quale sono stati commessi gli atti violenti e denigratori.