Oggi

Venezuela

Il drammadegl­i italiani a Caracas

- di Agata Piccolo

H «o sempre studiato, lavorato, pensando che a 50 anni sarei stata finalmente un po’ tranquilla. E invece adesso non ho quasi più niente», è lo sfogo di Angela. Ha l’accento spagnolo, trascinant­e e caldo. Ma il suo sangue è tutto italiano, e la sua storia avrebbe potuto essere la storia di tanti di noi. È una delle figlie degli innumerevo­li meridional­i che nel Dopoguerra furono costretti a lasciare campagne e paesini del sud per tirare avanti; solo che, invece di Torino o Milano, il papà e la mamma di Angela puntarono Caracas come moltissimi dalla Campania, dalla Si- cilia, dall’Abruzzo... Sulla carta, oggi, gli italiani sono la terza comunità straniera in Venezuela, 160 mila persone; ma, contando le seconde e le terze generazion­i, la cifra sfonda il milione. «Mio papà iniziò con una bottega di frutta, si spaccò la schiena e alla fine riuscì ad aprire un’azienda che faceva affari in tutto il Venezuela. Si stava bene nel quartiere, andavo in giro da sola, a scuola, a comprare il pane… Ma sono tempi che non esistono più». A 45 anni, commercial­ista affermata, sposata e con un figlio alle scuolemedi­e, Angela si è ritrovata a vivere come in guerra: «Siamo sempre barricati in casa, mio figlio non lo mando mai da solo da nessuna parte. A Caracas non si può più vivere. Noi stiamo resistendo, ma con un piano B in mente, credo che alla fine ce ne andremo», dice sconfortat­a. La sua città è devastata: povertà, scontri in strada. «Andava già male sotto il presidente Chávez, ma con Maduro siamo al tracollo. Ho capito che nulla sarebbe stato più lo stesso un paio d’anni fa», racconta Angela. «Era mattino presto, stavamo per alzarci quando abbiamo sentito in strada una donna che gridava “aiutatemi!”. Era uscita per andare a lavorare ma la stavano aggredendo e rapinando. E noi non potevamo non dico aiutarla,

ma nemmeno affacciarc­i alla finestra, perché sparavano». I racconti di Angela fanno rabbrividi­re. Manifestan­ti che protestano bruciando le auto e tutto quello che trovano, saccheggia­no i negozi; l’incubo delle case occupate all’improvviso, mentre magari sei in viaggio di lavoro.

«L’HANNO PICCHIATO PER UN PO’ DI RISO E FARINA»

Le famiglie si adattano come possono. «Per fortuna, ho dei buoni vicini», sospira Angela: «Da un pezzo oramai siamo d’accordo che, seuno di noideve assentarsi un po’ a lungo, gli altri la mattina vanno ad aprirgli la casa, ad accendere le luci, la radio, in modo che sembri abitata». La vita è cadenzata dagli orari: «Alle cinque i negozi iniziano a tirare giù le saracinesc­he, alle sei c’è un deserto che sembra un coprifuoco. Io e la mia famigliaa dopo quell’ora non usciamo più. A un n carissimo amico dimiomarit­o, per ru ubargli un pacco di riso e uno di farina l’ ’hanno colpito tante di quelle volte ch e poi i familiari l’hanno dovuto portare e all’ospedale vicino, e lì non avevano o neanche i medicinali da primo soccor rso per le ferite. Né alcol, né garze, né medicine per il dolore…». Anche us scire in auto non è sicuro: «Rubano le go omme, perché qui non se ne trovano di i nuove e quindi si rivendono quelle usate, e puoi ritrovarti anche senza batteria, o senza olio nel motore. Bisogna chiedersi se l’uscita vale il rischio». Le entrate di Angela e delmarito, che un tempo erano più che di-di gnitose, ormai bastano al minimo indispensa­bile: «Possiamo permetterc­i solo il cibo… È impossibil­e comprare un paio di scarpe, un pantalone, una camicia. Non andiamo più nemmeno alla

casa al mare, perché succede che per la strada i delinquent­i simulino incidenti, ti costringan­o a fermarti e poi ti rapinino. E fai meglio a non rivolgerti ai poliziotti. Molti sono ragazzini con precedenti penali che hanno avuto la licenza in seimesi e ti arrestano senza motivo, inventando­si che ti hanno visto prendere il telefonino di un altro». In centro la gente rovista nella spazzatura in cerca di cibo. I bancomat elargiscon­o cifre razionate: «E comunque io sto perdendo il senso del bolivares, la nostra moneta. Una semplice tachipirin­a la settimana scorsa costava 280 bolivares, oggi ne costa 6.500. Permolti una confezione di antibiotic­o costa più della paga di un mese. Chi ha malattie croniche e deve prendere farmaci tutti i giorni, si accontenta di prenderli a giorni alterni, o una volta alla settimana. Molti stanno provando a recuperare i rimedi dei nonni, le erbe, per quello che servono…». Eppure il socialismo di Chávez, portato avanti dal suo delfino Maduro, ha conquistat­o lemasse anche conservizi gratuiti e aiuti agli indigenti. Angela la spiega in modo lineare: «Il Venezuela è sempre stato un Paese con grandi fette di povertà. Chávez ha conquistat­o voti convincend­o gli abitanti delle favela che avevano il diritto di vivere come le classi borghesi, pur senza scomodarsi a studiare o lavorare, e che ci avrebbe pensato lui a riequilibr­are le cose. Ha fatto un po’ di fumo dilapidand­o i soldi del petrolio venezuelan­o, ma non ha costruito niente. Anzi. Ha espropriat­o le aziende che funzionava­no per darle in mano “al popolo”. Ma le ha rovinate perché, ovviamente, “il popolo” era incompeten­te e le ha fracassate. E intanto ha fomentato un odio di classe mai visto. Una volta mio papà ha chiesto a un abitante delle favela perché continuass­e a inneggiare a Chávez e Maduro, visto che alla fine era tornato povero più di prima. E lui ha risposto che almeno adesso eravamo poveri anche noi, e questo gli dava grande soddisfazi­one». Le tv hanno mostrato piazze gremite a sostenere Maduro: «Non sono tutti veri sostenitor­i. Tre mesi fa mia sorella si è licenziata da un lavoro statale perché riceveva uno stipendio che non le permetteva niente e lei e gli altri dipendenti erano costretti ad assistere alle manifestaz­ioni pro Maduro». Le manifestaz­ioni a sostegno dello sfidante democratic­o Guaidó sono state bagnate di sangue: «Le guardie sparano per uccidere, e se ti arrestano ti fanno peggio che ammazzarti. Penso a mio figlio, si sta facendo grande, presto vorrà andare anche lui in piazza a combattere per la democrazia del nostro Paese. Devo andarmene prima, devo proteggere il suo futuro. Ma non sodavvero come faremo a ricomincia­re da zero, magari in un Paese straniero, a quasi 50 anni».

 ??  ?? LA MANIFESTAZ­IONI POLITICHE, TRA DECINE DI VITTIME E CENTINAIA DI ARRESTI Caracas. Sopra, i due leader venezuelan­i allo scontro. A sinistra, Juan Guaidó, 35, il leader dell’opposizion­e autoprocla­matosi presidente ad interim; a destra, il presidente Nicolás Maduro, 56. I durissimi scontri tra i manifestan­ti (nella pagina a destra, sotto) e le guardie stannomiet­endo decine di vittime. Centinaia gli arresti.
LA MANIFESTAZ­IONI POLITICHE, TRA DECINE DI VITTIME E CENTINAIA DI ARRESTI Caracas. Sopra, i due leader venezuelan­i allo scontro. A sinistra, Juan Guaidó, 35, il leader dell’opposizion­e autoprocla­matosi presidente ad interim; a destra, il presidente Nicolás Maduro, 56. I durissimi scontri tra i manifestan­ti (nella pagina a destra, sotto) e le guardie stannomiet­endo decine di vittime. Centinaia gli arresti.
 ??  ?? LA POPOLAZION­E CERCA AIUTO PER LE STRADE: È UNA CRISI SENZA PRECEDENTI Caracas. Un gruppo solidale dellaChies­aCattolica cerca di sfamare la gente in strada. Il chavismo, la politica socialista iniziata dal presidente Hugo Chávez nel 1998 e portata avanti dal successore Nicolás Maduro, salito al potere nel 2013, si proponeva di riequilibr­are le ricchezze del Paese. Ma oggi la fame è a livellimai visti.
LA POPOLAZION­E CERCA AIUTO PER LE STRADE: È UNA CRISI SENZA PRECEDENTI Caracas. Un gruppo solidale dellaChies­aCattolica cerca di sfamare la gente in strada. Il chavismo, la politica socialista iniziata dal presidente Hugo Chávez nel 1998 e portata avanti dal successore Nicolás Maduro, salito al potere nel 2013, si proponeva di riequilibr­are le ricchezze del Paese. Ma oggi la fame è a livellimai visti.
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MOLTI SCAPPANOAP­IEDI Villa del Rosario (Colombia). Alcuni profughi venezuelan­i cercano di entrare in Colombia.

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