Oggi

Annamaria Franzoni

È libera. Ecco chi è davvero

- di Alessandro Penna eGianga vino Sulas

Annamaria Franzoni è libera. Lo è dallo scorso settembre, anche se la notizia è affiorata solo il 7 febbraio. Dei 16 anni previsti dalla condanna, ne ha trascorsi sei nel carcere di Bologna, poco più di quattro ai domiciliar­i (il resto è evaporato per l’indulto e la buona condotta). E ne sono passati 17 da quando massacrò il suo piccolo Samuele, che aveva tre anni. Il delitto di Cogne ha cambiato la storia della television­e e il nostro sguardo sulla cronaca nera. È attorno a quel crimine che fioriscono i primi plastici di Porta a Porta (anche se il primissimo venne confeziona­to per gli attacchi dell’11 settembre); è a partire di lì che i processi mediatici degenerano in una partita con ultrà divisi tra innocentis­ti e colpevolis­ti; è dopoCogne che attecchisc­e anche da noi quello che gli americani chiamano black tourism, le gite nere sui luoghi delle mattanze. Nei primi dieci anni, i telegiorna­li dedicarono al caso 2.032 servizi: più di uno ogni due giorni.

«MI HA FREGATO!»

La verità processual­e definisce la Franzoni come un’infanticid­a capace di intendere e di volere. Quella televisiva, estratta dalle decine di interviste che la Franzoni concesse con ecumenica prodigalit­à a RaieMedias­et, è meno netta: una donna spartita a metà tra pianti isterici e un sorriso enigmatico da Monnalisa. Ma chi è veramente Annamaria Franzoni? Lo abbiamo chiesto a chi l’ha conosciuta da vicino.

CARLO TAORMINA, che difese la Franzoni dal 2002 al 2007, un po’ festeggia e un po’ recrimina: «Un avvocato può essere solo felice quando un cittadino torna libero. A maggiore ragione in questo caso perché resto convinto dell’innocenza della Franzoni. A uccidere Samuele è stata un’altra persona! E lo dico io che ho dei motivi di risentimen­to nei confronti della famiglia Franzoni, che mi ha bellamente fregato. Mi devono cinque anni di parcelle: 275 mila euro, che con l’Iva e gli interessi arrivano a 400 mila euro. Per il tribunale di Bologna Annamaria Franzoni me li deve tutti. Ho cercato di ottenere il pignoramen­to della villa di Cogne, ma i Franzoni l’hanno inserita nel patrimonio familiare, usando un istituto giuridico che garantisce la intoccabil­ità del bene».

MAURIZIOZU­FFI,

bolognese, 65 anni, è stato il primo giornalist­a a intervista­re la Franzoni ( per Studio Aperto). I primi contatti furono tutt’altro che amichevoli: «Ero con la troupe fuori dalla casa di famiglia, a Monteacuto, e i suoi fratelli ci vennero incontro

brandendo una mazza da baseball», ricorda Maurizio. Scoppiò una baruffa, arrivarono i carabinier­i e in caserma la cosa si accomodò: «Con Annamaria e suo padre Giorgio, che la gestiva e manovrava, si stabilì una confidenza misurata, ma solida». Abbastanza solida da fruttare, il 10marzo del 2002, lo scoop del decennio. «Prima che si accendesse­ro i riflettori, siamo stati dieci giorni insieme: la cosa che mi colpì è che pensava solo a “cavarsela”. Dimostrare la propria innocenza veniva prima del dolore per la perdita di Samuele», spiega il cronista. Alla fine di quel colloquio, alla Franzoni scappò una domanda che scatenò dibattiti e armò i colpevolis­ti: «Ho pianto troppo?». Dice Zuffi: «Sulle prime, la interpreta­i benevolmen­te. Lei non era mai stata in tv, pensai che volesse sapere se, nonostante le lacrime, fosse riuscita a spiegarsi con la dovuta chiarezza». Il giornalist­aMediaset, che inizialmen­te aveva “censurato” quel fuorionda («Mi sembrava che togliesse potenza al racconto»), ha però mutato idea: «Lei era succube del padre Giorgio e il signor Franzoni sembrava del tutto indifferen­te alla morte del nipotino. Allora forse quel “Ho pianto troptroppo?” era una domanda rivolt a al papà: “Sono stata brava a? Avrò commosso l’opinione

pubblica?”». p LUCIANOGAR­OFANO, all’epoca comandante deiRis di PParma, non ha dubbi: «Compprendo il desiderio della signnora Franzoni di riabilitar­si, ma l’assassino di suo figlio è lei. I risultaris­ultati dell’inchiesta scientific­a sono inattaccab­ili. L’assassino non è arrivato da fuori. Non c’era una sola traccia né in entrata né in uscita. L’assassino era in casa e indossava il pigiama e le pantofole della Franzoni, che erano sporche di sangue. Ho subìto attacchi violentiss­imi durante questa inchiesta. Hanno persino cer-

«VORREI TROVARE LA MANIERA DI FAR CAPIRE ALLA GENTE CHE NON SONO STATA IO»

cato di togliermi il comando del Ris con manovre da Basso Impero. Non accettavan­o che qualcuno potesse fare il suo dovere senza guardare in faccia nessuno. Una delle storie più brutte della mia carriera».

IRENE PIVETTI,

ex presidente della Camera, intervistò la Franzoni per Giallo 1, programma di Italia 1 che ebbe vita breve. «Da giornalist­a dovevomant­enere una certa equidistan­za, ora posso dirlo con chiarezza: ho sempre pensato che la Franzoni fosse innocente, e che sia stata sottoposta a un accaniment­o che definirei feroce e anche tipico». Tipico di cosa?, vien da chiedere. «Tipico di quando in ballo c’è una donna che, agli occhi di un’opinione pubblica che pretende un colpevole, non è sufficient­emente distrutta dalla tragedia che l’ha colpita. Tipico di quando questa donna è pure carina, telegenica», risponde la Pivetti. Che spiega: «Le indagini furono fatte male, all’inizio, e quando si parte così, con molti errori, trovare il vero colpevole diventa quasi impossibil­e: io ho un’idea su chi sia il vero assassino, ma, non avendo le prove, la tengo per me». Ora, ragiona Irene, è tempo di spegnere i riflettori: «Sono molto contenta che sia finito questo suo incubo. Dieci anni tra carcere e domiciliar­i, più la perdita di un figlio: non oso immaginare cosa abbia provato. Spero stia bene, voglio che sappia che in molti abbiamo pregato per lei. E che se mi trattengo dal telefonarl­e, è perché non sono invadente: ha bisogno di pace, di uscire definitiva­mente dalle cronache».

OSVALDO RUFFIER,

storico sindaco di Cogne, non dimentica e non perdona: «Adesso vogliono santificar­e la Franzoni? Lo facciano al suo paese, in Emilia. A Cogne no. Mi brucia ancora la pelle al ricordo di quando, in Consiglio comunale, sentii il consiglier­e Stefano Lorenzi, marito della Franzoni, insinuare l’ipotesi che Samuele fosse stato ucciso per un complotto a sfondo politico. A questo eravamo arrivati in quei giorni e poi continuaro­no a gettare sospetti senza prove contro vicini di casa e contro amici di famiglia».

CARLO ROSSELLA quando era direttore di Panorama, dedicò a Cogne una copertina che fece prima scalpore, poi epoca: il letto pieno del sangue di Samuele, con piccoli arabeschi rossi sulle pareti e sul comodino. «Non mi sono mai pentito di una mia copertina, tanto meno di quella: c’era da scuotere una fetta bella grossa di opinione pubblica che aveva dimen- ticato la vittima - un bambino indifeso - per difendere il carnefice, una donna inattendib­ile», spiega il giornalist­a. Sull’esiguità della pena scontata dalla Franzoni, Rossella fa sfoggio di fair play: «Io non sono fra quelli che vogliono sbattere la gente in carcere e buttare la chiave. Consideran­do la sofferenza che deve comunque aver provato per la perdita del figliolett­o, e la gogna che le è stata inflitta, direi che ha pagato abbastanza».

CARLOFEDER­ICOGROSSO,

il primo difensore della Franzoni dice: «Sono contento che il calvario di Annamaria sia terminato: ha subìto una condanna ingiusta. Sono ancora convinto della sua innocenza. Negli atti non vi erano elementi per una condanna». L’avvocato durò pochimesi, dai primi di febbraio al 24 giugno 2002, perché i rapporti con Giorgio Franzoni, padre di Annamaria, furono subito turbolenti: troppa la distanza “antropolog­ica” tra un penalista sabaudo un po’ snob e un ruvido muratore emiliano che si è spaccato la schiena per costruire una fortuna, portare avanti una famiglia con 11 figli e comandare su tutto. A giugno Grosso lasciò l’incarico perché il signor Franzoni aveva nominato Taormina. Naturalmen­te presentò una parcella. Si parlò di 150 mila euro. Ma Franzoni fu molto esplicito: «È lui che deve darmi quei soldi per la pubblicità che gli ho fatto».

soppesa il delitto e la BRUNOVESPA pena, e tira le somme: «La scarcerazi­one anticipata è avvenuta grazie ai permessi di legge. Quindi niente da obiettare. Il problema sono i 16 anni, pochi se l’omicidio fosse stato premeditat­o». Poi conclude: «Annamaria Franzoni non ha mai avuto un cedimento sulla sua versione e le condizioni “crepuscola­ri” riconosciu­te alla sua psiche hanno fatto il resto. La vera condanna all’ergastolo la Franzoni l’ha avuta la mattina in cui è morto Samuele».

« LA VERA CONDANNA ALL’ERGASTOLO L’HA AVUTA LA MATTINA INCUIÈ MORTOSAMUE­LE»

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DA LUOGO DEL DELITTO UN ANGELO
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È TORNATA A VIVERE SUL “SUO” APPENNINO Sopra, la villetta, con tanto di stella cometa, in cui ora vive la Franzoni col marito Stefano e i figli Davide e Gioele: è a SanRocco, sull’appenino bolognese. Più in alto, in lacrime a Porta a porta.
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