Manuel Bortuzzo
Parla il padre del nuotatore ferito: «Nella vitamio figlio sarà un campione»
In certe situazioni essere un uomo non basta. Occorre essere qualcosa di più. Franco Bortuzzo ci sta provando. «Pa-ra-ple-gi-co», dice. E lo ripete tre volte. Una sillaba alla volta. Come se quella parola tutta intera fosse ancora troppo grande e troppo pesante. Troppo lontana, diversa e distante da tutto ciò che aveva immaginato per un ragazzo col fisico, il carattere, la grinta di suo figlioManuel. «La Guardia di Finanza ha chiamato a casa alle 8 di mattina», racconta. «Hanno cominciato a spiegare cos’era successo. I due che arrivano in moto, sparano, colpiscono Manuel… Li ho fermati. Non voglio saper la dinamica, chi ha sparato e perché lo ha fatto. M’interessa solo una cosa. Voglio sapere semio figlio è vivo. Vivo? Bene. Ho caricato moglie e tre figli e, da casa nostra a Treviso, ci siamo precipitati a Roma». Dopo due giorni il ragazzo era fuori pericolo. Ma dopo tre è arrivata una nuovamazzata. Il proiettile aveva provocato una lesione al midollo. Manuel non avrebbe più potuto muovere le gambe. E il padre per la prima volta ha dovuto pronunciare la parola pa- raplegico. «Faccio fatica ma prima o poi imparerò», dice. «Ancora adesso se penso a Manuel la prima parola che mi viene in mente è campione. E non perché abbia già battuto dei record, abbia collezionato risultati ai campionati regionali e ai campionati italiani, abbia partecipato agli Europei e si sia guadagnato un posto nella scuola federale, ovvero, l’anticamera delle grandi competizioni internazionali. A casa siamo pieni di coppe e medaglie. La cosa bella è che quando gli chiedono di chi sono, lui risponde “le ha vintemia sorella”. Ecco, quando dico campione non mi riferisco ai tempi in gara o ai trofei. Manuel è un ragazzo dotato di grande umiltà. È uno
che conosce il sacrificio. Uno che sa soffrire in silenzio. Uno che sa aspettare il suo turno. Sa che l’allenamento duro e sistematico ti porta sempre al risultato. Ha capito che la verità te la dà il cronometro e non le chiacchiere». FrancoBortuzzo è in un hotel sul Lungotevere. Al mattino accompagna i tre figli a nuotare. Poi sale in macchina, porta tutta la famiglia all’ospedale san Camillo, e come nel pomeriggio del 3 febbraio, varca la soglia del reparto di terapia intensiva. «Quando l’abbiamo visto la prima volta era intubato», continua, «e ci sono voluti due giorni prima che si risvegliasse. Non mi ha detto nulla. Ha preso la mia mano e me l’ha stretta forte. L’ho guardato e ho visto scendere una lacrima. In lui sento una forza particolare, che si alimenta della fiducia assoluta nella sua famiglia. Sentiamo che ci ama, ci vuole bene e conta seriamente su di noi. Quando ci vediamo non smettiamo di parlare. Ma ogni tanto rimaniamo uno davanti all’altro in silenzio. Guardo mio figlio e nei suoi occhi vedo le cose che lui chiede a me».
«BRAVA LA POLIZIA»
Franco va e viene dall’ospedale. Qualcuno lo ferma e vorrebbe ascoltare un suo sfogo sui balordi che hanno sparato a Manuel. «Mi spiace deludere, ma evito commenti», risponde. «LaPolizia ha fatto un grande lavoro e sono contento che li abbiano presi. Ma di loro, meno parlo meglio sto. Non cambia la vitamia e di mio figlio». Franco discute coi medici, incontra i giornalisti, accompagna gli amici di suo figlio, fa fronte a centinaia e centinaia di adulti, bambini e ragazzi che ogni giorno si presentano in ospedale, vorrebbero entrare in reparto e quando vengono bloccati dal personale, si rivolgono al padre, gli affidano un ricordo, un fiore, un biglietto, lacrime e parole di incoraggiamento per Manuel. Lui ha un sorriso e un ringraziamento per tutti. Ma la sua testa è altrove. «Abbiamo ricevuto manifestazioni di solidarietà incredibili», dice Franco,
«Suona la batteria e disegna benissimo»
«ma prima o poi i riflettori si spegneranno e saremo soli. E toccherà a noi voltare pagina, scrivere una nuova storia, diversa da quella che ci eravamo immaginati». È una storia che Franco compone mentalmente ora per ora, giorno dopo giorno. Lo fa guardando avanti e cercando nel passato gli elementi per costruire il migliore dei futuri possibili per suo figlio. «Manuel è un ragazzo creativo pieno di risorse», spiega. «Prima che il nuoto gli portasse via tutto il tempo libero aveva cominciato a suonare la batteria. Aveva solo otto anni e il suo maestro era rimasto impressionato per la facilità motoria e la capacità di far scaturire il ritmo dal coordinamento deimovimenti. A scuola è sempre andato così così, ma è un ragazzo predisposto per un sacco di attività. Può rimanere un pomeriggio chiuso in camera a disegnare ed è un bravissimo ritrattista. E in generale qualsiasi cosa faccia dimostra di avere tatto e sensibilità. Si avvicina a tutto e a tutti con grande rispetto, fa quello che deve fare e
cerca di dare sempre il massimo. Come ha fatto nel nuoto». Papà Franco non perde tempo e va avanti sullanuova strada. Maècome se fosse ancora incredulo. «Non mi creo illusioni», spiega, «ma ho la certezza che questa cosa nonmi appartiene. Lo sento dentro di me. Sarò pazzo. Andrò contro la scienza, ma ogni giorno si scopre qualcosa di nuovo e alla fine tutto può succedere, anche i miracoli. Io vedo una porta ancora aperta, da quella porta vedo filtrare una luce e sento che qualcosa succederà». La speranza si aggrappa al primo refertomedico, firmato da unadottoressa del pronto soccorso di Ostia secondo cui al momento del ricovero Manuel muoveva gli arti. «È un buon punto
«Ha una grande passione per lemoto»
di partenza», riprende il padre del nuotatore. Lo choc potrebbe essere provocato dal proiettile ma anche dall’edema che si è creato attorno alla ferita. Il colpo non è entrato nel midollo in modo devastan te. Si è conficcato angolarmente e sul lato destro della vertebra perp 11 millimetri. Il danno è stato provocato dall’urto e dalla temperatura del pro oiettile esploso a distanz za ravvicinata. I test dicono ch he il midollo ha perso capaci ità connettiva e non riesce più ùa trasmettere impulsi elettrici i. Però mancano ancora degli esam mi. Al momento non è stato poss ibile effettuare la risonanza magnetica, perché all’interno della colonna vertebrale è rimasto un truciolo di pallottola di un millimetro e mezzo, e durante l’esame ppotrebbemuoversi in
modo pericolo oso.
NON SI RASSEGNA
«Ci siamo affidati a luminari come ili professor Bassani dell’ospeedale di Niguarda e vogliamoo avere un quadro completo ddella situazione. Qui nessuno si illude. Ma nessuno si rasseegna». Sonoo le 14. In ospedale è orario di visite. Franco riuunisce moglie e fi- gli, e si prepara a partire per il San Camillo. «Manuel vuole uscire dal reparto e misurarsi con quello che gli verrà detto di fare», conclude il padre. «La Federazione del nuoto ci sta aiutando a selezionare le strutture più attrezzate per la sua riabilitazione. Poi toccherà a lui. Manuel è nato fondista e sa come fare. I suoi nuovi 1.500 metri saranno una battaglia con se stesso per conoscere i propri limiti e superarli. Sono sicuro, troverà dentro di sé la forza per ottenere il massimo. Vivremo di piccole, grandi cose e ogni giorno aggiungeremo un tassello. Manuel è un campione e comunque vada sarà un successo».