BUD SPENCER
Il figlio Giuseppe Pedersoli svela com’era il papà in casa.
Pochih anno conosciuto Carl oP eder soli, tantissimi invece l’ attore Bud Spencer. A tre anni dalla sua scomparsa e nel novantesimo anniversario dalla nascita, History Channel (in esclusiva su Sky al canale 407) prova a raccontare la vita privata e familiare di un attore amato in tutto il mondo con Le 1000 vite di Bud Spencer, in onda in anteprima assoluta martedì 29 ottobre alle 22.40. Il documentario si soffermerà sulla carriera attraverso racconti personali e intimi
della moglie Maria Amato, dei figli Giuseppe, Cristiana e Diamante e dei nipotiAlessandro e Carlo Jr, mostrando foto private e aneddoti sconosciuti che tracceranno l’intera carriera di uno straordinario artista. Lo sguardo del figlio Giuseppe Pedersoli è quello più profondo e a tratti commovente.
C’è sicuramente una cosa che tanti vorrebbero sapere: i personaggi interpretati da suo padre erano distanti dal suo carattere? «No, affatto. Erano la stessa persona. Come lo si vedeva sul grande schermo, così era a casa, con noi. Mio padre era sempre se stesso e anzi non riusciva proprio a capire gli attori che nelle interviste ripetevano che per entrare nel personaggio ingrassavano o dimagrivano, che vivevano alienati in quel ruolo anche dopo la fine delle riprese. Lui non aveva mai avvertito il problema dell’identità perché ogni personaggio interpretato era costruito su di lui».
Quando lei era piccolo ha sentito il peso di un padre così famoso? «Dabambino l’ho vissuto comepadre e basta, sono stato fortunato. Avevo circa sette anni quando uscì Dio perdona… io no, il primo film come Bud Spencer, e tre anni dopo arrivò il grande successo con Lo chiamavano Trinità. Da adolescente durante le pause dalla scuola, andavo sui set. Mi sembrava un circo, capivo poco ma mi divertiva quel mondo di fantasia che realizzavano davanti ai miei occhi. Il peso del suo successo non lo abbiamo percepito e credo che sia dovuto al difficile momento storico che viveva l’Italia».
Gli anni di piombo...
«Esatto, anni di attentati, terrorismo, rapimenti. Il senso di protezione di papà fu tale che per almeno 30 anni della sua carriera non fecemai servizi fotografici con noi. Il privilegio di un padre famoso non l’ho proprio vissuto e credo sia stato un bene».
Dava importanza al successo? «No. Il suo motto era: credere in se stessi e mai prendersi sul serio. I momenti belli erano stati i successi sportivi. Il cinema, diceva, era un dono caduto dal cielo, un biglietto della lotteria».
Girava fino a quattro film all’anno: non le mancava? «Sinceramente non avvertivo la sua assenza, mia madre è stata bravissima a non farcela sentiremai. Quando tornava era una grande gioia, magari adesso lo definiremmo un padre poco presente, ma non abbiamo sofferto chissà che, forse più mia sorella Diamante, più piccola di dieci anni».
Il 31 ottobre avrebbe compiuto 90 anni: come li avreste festeggiati?
«In maniera semplice, come abbiamo sempre fatto. Preferiva restare in famiglia e frequentare amici cari. Sarebbe stata una cerimonia domestica, magari con un timballo di pasta alla napoletana, insieme a TerenceHill, che non èmaimancato a nessuna celebrazione in casa nostra».
I fan invece faranno le cose in grande.
«Questo per noi è molto importante. L’affetto che tutti provano per lui lo rende vivo e presente. Il documentario su History, a Napoli la mostra multimediale che andrà in tournée nel mondo, il videogioco che gli hanno dedicato, le proiezioni della copia di Trinità restaurata per i 50 anni. Tre settimane fa c’è stato un evento in Germania con 15 mila persone, per i 90 anni a Berlino faranno una grande festa. Insomma, è bello che ci siano tante ricorrenze, allevia il dolore per la sua morte. Ed è importante che la gente si ricordi delle sue qualità di uomo semplice».
«PERLUI I FILM ERANO UN DONO DELCIELO, UN BIGLIETTO VINTO ALLA LOTTERIA »