Oggi

Elena Santarelli

«La malattia dimio figlio, una storia a lieto fine»

- di Dea Verna

Perfino mia mamma, leggendo il libro, mi ha detto: “Figlia mia, ma tu hai passato tutto questo e non ci hai detto niente”. Sono stata forte, sorridevo, incoraggia­vo gli altri, ma poi mi sentivomor­ta dentro e piangevo sotto la doccia». Elena Santarelli, davanti a un tè nel bar di un albergomil­anese, ci racconta il suo percorso, quello che lei, nel libro Una mamma lo sa ( Piemme), chiama l’interrogaz­ione a sorpresa. «Quando metti al mondo un figlio, sei talmente ignaro che dici: “Perfetto, mi è andata bene, è sano, non avrò più problemi”. E invece per me e mio marito l’interrogaz­ione a sorpresa è arrivata il 30 novembree

2017 con una diagnosi terribile che riguardava nostro figlio Giacomo», racconta.

A Giacomo, che allora aaveva otto anni e mezzo, è stato diagnostic­ato un tuumore cerebrale. Nel libbro (il cui ricavato sarà inteeramen­te devoluto a Heal, prrogetto di ricerca nell’ambiito della neuro-oncologia pediatrica),d) Elena, che è sposata con Bernardo Corradi (ex calciatore e ora allenatore della Nazionale italiana under 16) e ha un’altra figlia, Greta, racconta un calvario fatto di ospedali, medici straordina­ri, una operazione

lunga 14 ore, chemiotera­pia, lacrime, rabbia. Una storia che ha un lieto fine: il 10 maggio scorso Giacomo è stato dichiarato guarito (in follow up, come si dice in gergo medico, “da tenere sotto controllo”).

Elena, come si esce da una storia del genere?

«Non se ne esce mai. Sto facendo una terapiache­sichiamaEm­dr, e pureGiacom­o l’ha seguita. È una tecnica particolar­e per rielaborar­e il dolore. Io non voglio dimenticar­e: ogni volta che passo anche per caso davanti al Bambin Gesù, l’ospedale dove Giacomo è stato in cura, sono una valle di lacrime».

Come avete festeggiat­o la guarigione di Giacomo?

«Ci siamo regalati un viaggio a New York, io, Bernardo e Giacomo. Con il bambino che mi diceva: “Che bello, qui sto bene, nessuno ci guarda e fa caso al fatto che non ho i capelli».

Perché in Italia invece? «Abbiamo incontrato bulli nel nostro percorso e tuttora li incontriam­o. Ci sono bambini che si sono avvicinati a Giacomo e lo hanno chiamato “pelato del c….”. Ho spiegato a mio figlio che questa è la vita, a volte i bambini sembrano cattivi, ma in realtà ad essere cattivi sono i genitori, che non li fermano, non gli spiegano le cose».

Elena, dopo tutto questo, lei lo farebbe un terzo figlio?

«Mai dire mai, le vie del Signore sono infinite. Giacomo e Greta sono stati programmat­i, non sono nati per caso.

«PER RESISTERE, MI SONO AGGRAPPATA

ALLA FEDE. UN FRATELLINO PERIMIEI DUEBAMBINI? MAI DIRE MAI, MA HO PAURA»

E oggi un terzo non è in programma. Fare un figlio, in fondo, è un atto d’egoismo: lo metti al mondo e lo lasci in questa giungla. Ho paura, non sono più incoscient­e».

Una mamma lo sa. Perché lei, Elena, ha subito intuito che dietro i mal di testa di Giacomo, i suoi cambi d’umore, c’era qualcosa che non andava.

«Il mio intuito è stato quello di insistere con i medici, cosa che non è da me perché normalment­e non sono una mamma ansiosa. C’erauna vocina dentro di me che mi diceva che qualcosa non andava».

Cosa le ha dato il coraggio di affrontare questo percorso?

«Ho pregato tanto, mi sono aggrappata alla fede e unpo’mene sono vergognata. Non è bello chiedere aiuto quando ne hai bisogno».

Ma è umano.

«Seguo un gruppo whatsapp, ilRosario itinerante, siamoperso­ne sparse in tutta Italia e preghiamo per chi ha bisogno. Ne faceva parte unamia amica, hanno pregato tanto per Giacomo, alla fine lei mi ha chiesto se volevo entrare».

Durante le terapie, ha cercato di assicurare a Giacomo la sua quotidiani­tà di bambino.

«Lo facevo anche studiare inospedale, quando era ricoverato. Mentre faceva la chemio, se era possibile, andava a scuola. E ho chiesto agli insegnanti di non dargli voti più alti per tenerezza. Credo che per lui sono sempre stata la stessamamm­a, severa, dolce, burlona, giocherell­ona».

Unamamma che di notte entrava nella sua stanza con la torcia del telefonino e toglieva i capelli che cadevano sul cuscino.

«Per un bambino, ma anche per un adulto, la cosa più brutta sono le ciocche che cadono per la chemio. Non potevo sopportare che si svegliasse la mattina e trovasse tutti quei capelli sul cuscino».

Il momento più drammatico? «Quando, prima di entrare in sala operatoria per l’intervento, mi ha chiesto: “Mamma, ma io potrei morire per questa operazione?”. Poi però non abbiamo più parlato di morte. E quando, purtroppo, Marzia, una bambina conosciuta in ospedale, non ce l’ha fatta, mi ha detto: “Non mi hai mai spiegato che si può morire per il tumore”. E io gli ho risposto: “Perché tu non me lo hai mai chiesto”».

Con suomarito Bernardo, il rapporto s’è rafforzato?

«Certo. Non ci siamo lasciati, come ha scritto qualcuno travisando le mie parole. Le prime due settimane dopo la diagnosi, eravamo sotto choc. Uno piangeva sul divano, l’altra in camera da letto, poi ci siamo abbracciat­i».

E ora?

«Abbiamo cambiato casa, viviamo in un quartiere più tranquillo, dove posso passeggiar­e senza che nessunomi fissi omi chieda nulla. Giacomo è tornato il bambino sereno e pieno di energie di prima. Io sono impegnata col programma di Rai 1 Italia sì, conMarco Liorni e Rita Dalla Chiesa. L’anno prossimo mi piacerebbe condurre un programmam­io, un Cattelan al femminile, dove trattare argomenti seri, ma col sorriso e l’ironia. Perché anche la mia è una storiadido­lore, ma ha un finale bello».

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