di Umberto Brindani
IL VERO CONTAGIO È LA PSICOSI DEL CORONA VIRUS. UNA STRAORDINARIA TESTIMONIANZA
Mi sa chebisogna aggiornare il titolo di unmemorabile romanzo di Gabriel GarcíaMárquez. Pubblicato nel 1985, si chiamava L’amore ai tempi del colera, fu un successo mondiale, e ne trassero anche unmolto più dimenticabile film con Giovanna Mezzogiorno e Javier Bardem. Oggi qualcuno dovrebbe scrivere L’amore ai tempi del Coronavirus. O del “Coronavairus”, per l’edizione dedicata al ministro Luigi DiMaio.
Anzi, no, non soltanto l’amore, ma la vita, la vita quotidiana ai tempi del Coronavirus. Perché a dispetto degli appelli al buon senso e alla moderazione, ormai siamo tutti in qualche modo schiavi del maledetto Covid-19 (nota per DiMaio: pur essendo l’acronimo di “Corona Virus Disease”, da noi si dice “Covid”, non “Covaid”). Ahimè resta la prima notizia di Gr e Tg, e campeggia da settimane sulle prime pagine dei quotidiani, o almeno di quelli che si sono stufati di seguire, giorno dopo giorno, le vuote giravolte e le sciate di MatteoRenzi. Ogni giornata si apre e si chiude con l’aggiornamento della conta dei nuovi contagiati e dei decessi, una specie di ridicolo bollettino di guerra che conferma e ingigantisce le paure. «C’è il primo caso inAfrica!», strillano i media. È uncinese, ovviamente, e ci fanno sapere che «sta bene». In Africa, capite? Dove ogni giornomuoiono a migliaia, di fame, di guerre vere, di Ebola e mille altre malattie spaventose. Ma chissenefrega: conta di più il singolo contagiato, che manco è africano e ha avuto solo la sventura di passare di lì.
Mi ha scritto qualche giorno fa un lettore, Tiziano Tresoldi: «Caro direttore, mi spiega perché si sta creando il panico su un virus che alla data odierna ha causato la morte di sole mille persone circa, mentre le influenze normalmente di stagione causano nel mondo, secondo l’Oms, fino a 650 mila morti l’anno, e non se ne parla? Dietro c’è un interesse delle case farmaceutiche per trovare il medicinale per curare un virus di cui fra duemesi non si parlerà neanche più. Certo che il giornalismo ha una dote: fare terrorismo psicologico!».
Mah, caro Tiziano, io quando sento parlare di complottidi solitometto mano alla pistola. Non ci credo. La verità è molto più semplice. Si tratta di un bacillo nuovo, fino a ieri sconosciuto, contagioso, che in teoria può colpire chiunque. Poco importa che il tasso di mortalità sia notevolmente basso, o che il focolaio si trovi dall’altra parte del pianeta: prima non c’era, adesso c’è. E tanto basta a far prevalere la paura sulla ragione. I giornalisti? Guardi, Tiziano, siamo uguali in tutto ilmondo, abbiamo gli stessi pregi e gli stessidifetti. Quando fiutiamo una notizia non ce n’è per nessuno. E se ci accorgiamo cheuna certa cosa alla gente interessa, ci diamodentro, e più ci diamo dentro più il pubblico risponde, perché la faccenda interessa davvero: ed ecco creata la tempesta mediatica perfetta, il circolo vizioso che si autoalimenta, l’ansia si nutre di notizie, le notizie accrescono l’ansia.
Certo, non si può negare che l’emergenza esista davvero, e in realtà sta avendo effetti devastanti sull’economia, con esiti drammatici con i quali avremo ben presto a che fare in termini di crisi aziendali e disoccupazione, altro che contagio. Ma è solo una delle tante emergenze che segnano la nostra epoca, ed è paradossale che questa scateni il terrore anche in chi non ha laminima probabilità di esserne toccato. Vince l’irrazionalità. Leggete da pag. 10 la straordinaria testimonianza che, in esclusiva per Oggi, ha voluto scriverciHeather Parisi. La famosissima showgirl americana (e naturalizzata italiana) vive da alcuni anni a Hong Kong, dove su 7 milioni di abitanti i contagiati sono poche dozzine. Eppure Heather e la sua famiglia vivono blindati in casa, «tra il tinello e la cucina», escono solo in caso di necessità e ovunque vadano, dal parrucchiere o al supermercato, viene controllata la temperatura. «Fino a oggi non ho ancora respinto nessuno alla mia porta di casa e non sono stata respinta da nessuno, ma dovreste vedere la paura e l’imbarazzo negli occhi di ciascuno in attesa del responso della misurazione». Mamma mia, è questo il futuro che ci attende? O riusciremo a far prevalere la ragione sulla paura?