EDITORIALE
L’EUROPA, LE POLEMICHE INUTILI, GLI ESPERTI, I CITTADINIDI SERIE B. E LA LIBERTÀ
Quandoavevo 18 anni, appena finita la Maturità, sono partito con un amico per un giro in Europa, grazie alla mitica tessera Inter Rail, che consentiva agli studenti accessi illimitati su tutti i treni del continente. Prima tappa in Austria, poi abbiamo attraversato la Germania, la Danimarca e la Svezia, poi la Norvegia fino a Capo Nord, la Finlandia… È stato un viaggio di formazione, alla scoperta di quello che pensavo fosse, a dispetto di lingue e tradizioni diverse, un unico grande popolo, imbevuto com’ero di europeismo, fratellanza, fiducia in un destino comune.
Ecco, il Coronavirus mi ha fatto capire che mi illudevo. E mi sono illuso per più di 40 anni, da allora. Non so se avesse ragioneWinston Churchill quando, dopo la Seconda guerra mondiale, disse che «i tedeschi sono sempre stati il problema dell’Europa; ne riparliamo fra cinquant’anni, quando avranno rialzato la testa: i problemi per le future generazioni verranno da Berlino». E non sono sicuro di condividere l’intemerata lanciata in questi giorni, più modestamente, dal comico Tullio Solenghi: «Hanno provocato la Prima guerra mondiale, la Seconda guerra mondiale, sterminato 6 milioni di ebrei e ancora oggi hanno un’arroganza spietata, ancora oggi si sentono superiori». Non ho più certezze. Vedo gli olandesi che ci trattano come i parenti poveri e spendaccioni, e intanto ci sottraggono 20 miliardi all’anno di tasse grazie al fatto che il loro è un paradiso fiscale. Vedo i vicini austriaci che fanno gli spocchiosi, il franceseMacron che si barcamena, i vari capi di governo che affrontano una tragedia comune con la miopia di chi pensa solo al proprio particulare. Non vedo traccia di solidarietà. So solo che da oggi mi sento meno europeo e più italiano, con orgoglio. E devo rivedere tutte le mie convinzioni, se gli aiuti ci arrivano dai Paesi che dell’Europa non fanno parte: dall’Albania sorprendentemente, ma anche da Cuba, dalla Russia, dalla Cina, ora anche dagli Usa.
Un’altra cosa che ho capito in queste settimane drammatiche è la vanità di tante polemiche e tanti allarmi che ci hanno accompagnato negli ultimi anni. Pensate ai migranti che «ciondolano nelle nostre strade e nelle nostre piazze», alla continua «emergenza sbarchi», al terrore dell’«invasione»… Il virus ha spazzato via tutto, le dispute su moschee, presepi e crocefissi, le discussioni sulla deriva fascista, i dibattiti sull’odio in Rete. Nel momento in cui tornano davvero in primo piano i bisogni primari (salute, famiglia, lavoro, soldi) tutto il resto evapora e perde importanza.
Ho capito anche che abbiamo sopravvalutato i cosiddetti “esperti”, che tuttora imperversano suimass media. Troppi, e spesso in contrapposizione fra loro. Capaci di tranquillizzarci («Rischio zero») e poco dopo, come se nulla fosse, di spaventarci a morte. Esattamente come i politici, cioè coloro che hanno il compito di guidarci e decidere per noi. Da questo punto di vista tutto il mondo è Paese, basta guardare le giravolte di Donald Trump o Boris Johnson. Anche i nostri si sono rivelati largamente inadeguati al ruolo, se è vero che il governo ha decretato lo stato d’emergenza il 31 gennaio e per più di 20 giorni non ha fatto assolutamente nulla.
Ho poi capito che esistono sintomatici di serie A e di serie B, quelli a cui il tampone viene fatto anche se hanno soltanto il naso che cola e quelli che con la febbre alta devono stare a casa, in attesa, e magari morirci (per non parlare dei privilegiati da Champions League, diciamo, a cui il tampone viene fatto a richiesta anche se stanno benissimo). E ho capito il valore della libertà, prima fra tutte la libertà di movimento, che da tre o quattro generazioni davamo per scontata. Non viviamo in una dittatura, possiamo spostarci dove e quando vogliamo, la libertà è come l’aria che respiriamo: c’è e basta. Anzi, c’era. Proprio come l’aria pura che non respiriamo più.