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LUCA GOLDONI

- di Luca Goldoni

Sui bugiardini farmaceuti­ci le controindi­cazioni sono spesso allarmanti ma gentili. In qualche caso si parla di arresto cardiaco tuttavia mai seguito damorte. Questa parola brutale è sostituta da un vocabolo classico, quasi aulico: exitus. E allora parliamo delle mie prove generali di exitus.

Come inviato di guerra ho rischiato l’exitus diverse volte.

Ne scelgo una, legata al Settembre Nero del 1972.

Con altri cento giornalist­i ero rimasto intrappola­to nell’albergo Jordan di Amman, in Giordania, fra due fuochi: le truppe di re Hussein contro i palestines­i in rivolta.

All’improvviso un gruppo di fedayn irrompe nella hall con i kalashniko­v spianati.

Ci costringon­o a scendere nei sotterrane­i e ci tengono sotto la minaccia delle armi. Urlano, sono eccitati dalla battaglia, non vogliono accettare il nostro ruolo di testimoni neutrali. Credo che si avvicini la mia ultima ora e come reagisco? Mi impongo di non pensare a tutto ciò che sto per perdere, volti cari, affetti, programmi, luoghi, abitudini. Nonmi sento di sopportare questo commiato dal mondo. E allora riesco a concentrar­mi su particolar­i contingent­i, che posizione assumere per prendere una raffica risolutiva, e non restare soltanto straziato e agonizzare a lungo come una bestia morente. Riesco insomma a ovattare il cervello.

È la sola certezza chem’è rimasta di quell’esperienza: non riuscire a guardare in faccia lamorte, non sopportare la mia privatissi­ma fine del mondo.

E così, contro l’evento più naturale ma anche il più infame, ho sperimenta­to l’“anestesia cerebrale”. Non è una morte da stoico, ma pur sempre una soluzione dignitosa.

Non possiamo essere tutti dei Seneca.

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