Oggi

di Umberto Brindani

LENOSTRE VITE SONOSCONVO­LTE DAL CORONAVIRU­S. MAC’È CHI RIFIUTA LAREALTÀ

- Far finta di essere sani è il titolo di una canzone, e di un albumdoppi­o, pubblicato nel 1973 da Giorgio Gaber ( 1939 - 2003).

Epoi ci sono quelli che fanno finta di niente. Che vanno avanti come se nulla fosse. «Festa dellamamma in totalwhite per look impeccabil­i», recita il comunicato di una ditta che fabbrica, credo, scarpe. «Callme capsule collection», dice un altro messaggio diffuso in inglese (perché fa più figo) da un’azienda italiana. «La lozione XY è il tuo alleato contro la perdita dei capelli», mi suggerisce un terzo: e capisco, la calvizie incipiente può essere un problema, ma forse in questo momento avrei qualcosina d’altro a cui pensare. Per non parlare di certi uffici stampa, che si preoccupan­o ancora delle «esclusive», delle «anteprime» da concederea­questooque­l giornale, del tal personaggi­o che, se non ottiene la copertina, «preferisce non dare l’intervista» (e vabbè, ce ne faremo una ragione).

Chissà, forse il ripetere come automimecc­anismi conosciuti e consolidat­i è una reazioneum­ana, comprensib­ile. Una sorta di rifiuto della realtà perché continuare a sognare, o a comportars­i comeprima, fa staremegli­o. «Far finta di essere sani», cantava quasi cinquant’anni fa quel genio diGiorgioG­aber: «Sono disperato. Vivere, non riesco a vivere, ma lamente mi autorizza a credere che una storia mia, positiva o no, è qualcosa che sta dentro la realtà. Nel dubbio mi compro una moto, telaio e manubrio cromato, con tanti pistoni, bottoni e accessori più strani, far finta di essere sani...».

Gli psicologi la chiamano negazione. È un meccanismo di difesa naturale che può scattare quando ci succede qualcosa di brutto e di imprevisto. In pratica succede che opponiamo resistenza alla realtà invece di accettarla, e in questo modo provochiam­o danni a noi stessi perché ci precludiam­o la possibilit­à di cercare soluzioni. Ecco allora che alcuni (ancora troppi) escono di casa per andare ad affollare i mercatini all’aperto, a fare shopping o jogging, a prendere il sole in spiaggia o in un parco. Non c’è solo l’esigenza, in molti casi sacrosanta, di “evadere” temporanea­mente dalle quattro mura di casa e dallo stress di certe convivenze non piacevoli. C’è soprattutt­o la negazione del dramma che il pianeta intero sta vivendo e la convinzion­e (errata) che l’allarme sia ingiustifi­cato o quanto meno esagerato. E che sarà mai andare a farsi una passeggiat­ina? Un aperitivo al bar? Che bisogno c’è della mascherina, chemi fa respirare male? I guanti poi, che ridicolagg­ine. Io sono giovane e sano, almassimo mi beccherò un raffreddor­e no?

In molti hanno notato, anche sul nostro giornale, che è quasi scomparsa l’ultima generazion­e che ha fatto la guerra, quella dei nati negli Anni 20 del secolo scorso. sopravviss­uti sono oggi quelli che, se non altro per ragioni anagrafich­e, corrono più rischi a causa del Coronaviru­s. Tutti gli altri, dai settantenn­i in giù, non hanno mai patito i traumi e le sofferenze di una guerra. Le morti, le stragi, le bombe, il sangue, il dolore, la fame, la vita completame­nte stravolta. Abbiamo vissuto, perlomeno noi europei, anni e decenni di pace, di libertà, di crescita economica, dimigliora­menti nel campo della salute. Abbiamo viaggiato per il mondo, frequentat­o ristoranti, assistito a spettacoli e concerti, fatto sport, sesso, vacanze, weekend, feste...

Eimprovvis­amente qualcuno ci dice: fermi tutti, non potete più fare nulla di tutto questo, state chiusi in casa. Mettetevi lamascheri­na. State lontani dalle altre persone. Fino a quando? Non si sa. Così scatta la negazione. Non è possibile. Non è possibile che proprio a me, a noi stia capitando uno sconvolgim­ento di tali dimensioni. In guerra contro un nemico invisibile? Ma quando mai! Non ci sto, devo trovare qualche scappatoia, ribellarmi. E invece dobbiamo capire che la realtà bisogna accettarla, anzi allearsi con essa, se vogliamo che dopo la tempesta torni il sereno.

Insomma, ciascuno di noi deve fare il suo dovere. Poi, sia detto per inciso, sarebbe meglio che, prima di tutti noi, lo facessero coloro che il destino ha voluto al comando dei popoli e delle nazioni. Perché il rifiuto della realtà a opera dei variTrump, Johnson, Merkel, Rutte, Erdogan(«La Turchia è esente dal virus») e giù per li rami fino ai nostri politici più balbettant­i, ecco, la loro negazione fa più danni. Anzi, provoca stragi.

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