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La Iena positiva L’allarme di Alessandro­Politi: «Dopounmese sono contagioso» diA. Politi

LA “IENA” POLITI, CHE HA SCRITTO AN CHE PEROGGI, È SENZA SINTOMI DA UNMESE. «PER L’OMS POTREI USCIRE, MA SONO CONTAGIO S SIMO»

- di Alessandro Politi

Èil 7 marzo, ore 5: mi sveglio perché ho la testa in fiamme. E non solo la testa: il termometro dice 38.5. Se aggiungo il mal di gola, nel cervello si staglia, come illuminata al neon, la parola tragica che sento ovunque: Coronaviru­s. Alle 11 sono al Pronto Soccorso di Vimercate. Insisto come unmatto per essere sottoposto al tampone. «Sono un giornalist­a», dico, «e negli ultimi giorni ho avuto contatti con centinaia di persone: potrei averle contagiate». L’insistenza, alla fine, paga. Al Pronto Soccorso mi fanno il tampone e mi spediscono a casa con la prima cura: paracetamo­lo. Prendo la Tachipirin­a, faccio una sudata e la febbre mi scende con la velocità con cui stanno crollando le Borse: 36.5. Festeggio lo scampato pericolo, faccio persino un balletto di gioia: non ce l’ho, il virus. La mattina dopo, però, la dottoressa del Pronto Soccorso, una donna di una gentilezza che non scorderò, mi manda un messaggio. E con tre parole mi inchioda alla croce che porto tuttora: «Ale, sei positivo».

«SERVONO PSICOLOGI»

Nel giro di altri due giorni evaporano tutti i sintomi, ma comincia l’incubo. Perché si fa un gran parlare, e giustament­e, degli immunodepr­essi, le prede facili del Coronaviru­s, ma non si spende una parola per i depressi. Sto bene, eppure mi sento come se avessi una pistola puntata alla tempia. E allorami viene tutta una batteria di mali “accessori” di cui non parla nessuno: attacchi di panico violentiss­imi (scambio un dolorino sotto lo sterno

per l’inizio della polmonite), ansia perenne («E se peggioro?»), stress. Io sono fortunato: il mio padrino di cresima è un cardiologo esperto anche di malattie polmonari e mi segue come fosse un secondo papà (si chiama Beppe Mariani, ha 77 anni e ora fa il volontario nei reparti Covid); ho un amico carissimo che fa lo psicoterap­euta e ogni giorno si sobbarca, per un’ora e mezzo, le mie paure. Ma gli altri? Le migliaia di persone che sono nella mia condizione? Va bene curare il virus, ma attenzione a non trascurare lamalattia che si mangia la mente. Mi chiedo: il governo o la Regione ha pensato a un sostegno psicologic­o gratuito per chi è in balia dell’angoscia? A me nessuno ne ha parlato, nonostante tutti – medico di base, ospedale, infermieri, chi mi ha fatto il tampone – conoscesse­ro la mia situazione psicologic­a. Il 21 marzo mi sottopongo al secondo tampone: positivo. Il 3 aprile, unmese dopo il primo, faccio il terzo tampone. E sono ancora pienamente positivo! Dopo 30 giorni ho ancora la carica virale massima, sono ferocement­e contagioso. Allora mi viene il sospetto che ci sia un bug, un errore di questo sistema che dovrebbe proteggerc­i.

«NON SONO L’UNICO»

Secondo l’Oms, e a cascata per i governi e le Regioni, chi ha avuto sintomi influenzal­i lievi (come me) e non ha fatto il tampone, dopo 15 giorni dalla scomparsa dei sintomi può uscire, andare al lavoro, a far la spesa, in farmacia. Ma sulla base di cosa? Di una presunzion­e di negatività smentita dai fatti? Perché io non sono un caso unico al mondo: siamo in tantissimi a essere carichi di virus dopo 15, 20, 30, 40 giorni dalla scomparsa dei sintomi. Dopo il video che ho fatto per le Iene, mi hanno scritto inmolti: gente costretta dai capi a tornare al lavoro; gente che mette nel carrello, oltre alla spesa, la sua “sporta” di virus non certificat­a dal tampone e data per inesistent­e dall’Oms. Gente, come me, che è preoccupat­a di inguaiare gli altri, ma anche di peggiorare la propria situazione. Mi chiedo: non è che il contagio va avanti anche perché, col placet degli esperti, ci sono in giro tantissimi “guariti” che in realtà sono malati? Allora mi permetto di lanciare un appello all’Oms. Stiamo perdendo tanto: salute, persone care, libertà, soldi, privacy, speranza. Non commettete leggerezze. Possibile debbano essere un ragazzo di 30 anni e le Iene a segnalarvi la possibilit­à di un errore così pericoloso, così micidiale?

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