Vita da neomamme «Noi, tra gioia e paure»
I LORODUE BAMBINI SONO VENUTI AL MONDO AI TEMPI DEL COVID. ECCO COM’È ANDATA, MENTRE GLI OSPEDALI ERANO BLINDATI E I PADRI TENUTI LONTANI
C’è il fenicottero rosa, neonato al parco delle Cornelle. Si chiamerà Hope (Speranza), se si scoprirà che è femmina, o Rainbow (Arcobaleno), se maschio. Un buon segno. Ma ci sono anche donne che proprio in questi giorni danno alla luce un bambino, in un mondo diverso. Più fragile, ansioso. Oggi ha raccolto daMilano, “osservata speciale”, le storie di due mamme. Storie belle e diverse. Che fanno riflettere.
DALL’INCUBO ALLA GIOIA
Alessandra Quinci Hubbard, 34 anni, ha partorito Saverio il 22 marzo. «Sono siciliana ma ora vivo a Milano conmiomaritoAndrea. Il 17 febbraio sono andata in maternità dal lavoro e mentre qui iniziava la quarantena. I primi otto mesi di gravidanza sono stati gioiosi: i miei familiari sarebbero arrivati da Mazara del Vallo per fare festa. Poi, è cambiato tutto: stavo in casa il più possibile. La mia prima uscita? Per la visita di controllo a marzo ma coincideva con le ordinanze restrittive. Sono entrata con Andrea all’ospedale Buzzi: gli ambulatori erano chiusi, un deserto. Le mie visite col ginecologo, annullate. Non ero monitorata da tre settimane, ero un po’ giù. Lamia data del termine era il 18marzo. Ma tra il 4 e il 18 chiudono i collegamenti regionali: addio nonni. Speravo che almeno Andrea potesse restare con me... Il 18 marzo doveva essere gioia. È stato un incubo. In ospedale ci fermano, distribuiscono mascherine e guanti: lui sta fuori, io entro sola e piango. Poi, accetto tutto. Per fortuna, Saverio nasce in ritardo, quando al Buzzi cambiano idea: forse i compagni di chi non è positiva, possono entrare. Il 22 all’alba mi si rompono le acque. Mi ricoverano, Andrea torna a casa. Passo la domenica da sola in attesa. E spero, poi... Prima che nasca Saverio, lasciano entrare anche Andrea in sala parto. La sua presenza è fondamentale. Mi ha aiutato tantissimo a gestire il parto, la respirazione. Oggi siamo a casa. I nonni li vediamo in videochiamata. Ma che felicità!»