Oggi

Enrico Bertolino

«Qui a Milano, c’è vita oltre l’apericena!»

- di Massimo Laganà

di

Milano che fatica, cantavaLuc­io Dalla, per tessere un elogio agrodolce del laborioso spirito ambrosiano. Il cantautore bolognese non poteva certo immaginare che la capitale morale d’Italia sarebbe stata messa ko dal Covid-19. Un virus che ha drasticame­nte cambiato lo stile di vita milanese. Di questo particolar­e effetto collateral­e si occupa un meneghino doc come Enrico Bertolino, 60 anni da compiere in luglio, comico e libero pensatore, che pubblica Le 50 giornate di Milano - Diario semiserio di un barricato sentimenta­le: un volume composto a quattro mani con Enrico Nocera, editore Solferino.

L’umorismo al tempo della quarantena. Non la spaventa l’idea di andare in libreria con un instant-book che esercita dell’ironia su una situazione tragica? «Intanto bisogna vedere se ci arriviamo, in libreria! Senonle riaprono, sarà dura. Comunque la risposta è sì. Mi terrorizza. Mi chiamano il “Lupo di Dubbio” per lamia inclinazio­ne all’incertezza. L’idea sarebbe di schivare sia il sublime, sia il ridicolo. Vorremmo collocarci in mezzo».

Qualcuno potrebbe insinuare che il primo “pericolo” non c’era… «Obiezione accolta. Infatti ci siamo concentrat­i sul secondo rischio. E spero che abbiamo evitato di renderci ridicoli».

Del resto il più grande genere cinematogr­afico italiano è la commedia: aspra denuncia so

ciale con il sorriso sulle labbra. «Ecco, appunto. Io e il mio alter Enrico crediamo nel cinismo educato».

La frase nel frontespiz­io invece sembra studiata, per prevenire le accuse di “leggerezza”. «Assolutame­nte no! La dedica a tutte le persone che hanno lavorato e continuano a farlo durante la quarantena è un atto sentito. Uno dei tanti luoghi comuni sbriciolat­i dalla pandemia è quel teorema nazionale in base al quale, se ciascuno fa il suo, tutto si sistema. Come se bastasse svolgere il proprio compitino, per aggiustare i mali della società. Non è vero. Se medici, infermieri, panettieri, commessi e rider non fossero andati ben oltre il loro dovere, ci saremmo trovati in una situazione ancor più drammatica».

Altri stereotipi smantellat­i? «AMilano abbiamo scoperto che si può

Addirittur­a.

«Si calcola che una coppia meneghina media sposata da trent’anni abbia trascorso insieme, condividen­do fisicament­e lo spazio casalingo, un tempo effettivo di circa 12 minuti all’anno. Non vorrei apparire un soggetto inpreda a crisimisti­che, ma forse potremmo cambiare il nostro stile di vita. E non solo. Lamia amata città deve smetterla di sentirsi la prima della classe. Impariamo a ragionare come collettivi­tià. Bisogna correre di meno ed emozionars­i di più».

Perché ce l’ha con il weekend? «A Milano il fine settimana è sacro. Si deve necessaria­mente combinare qualcosa, andare da qualche parte. Sa perché la famosa rivolta contro gli Austriaci del 1848 durò cinque giornate? Perché c’era da celebrare ilweekend!».

Si è dato anche lei alla “pizza gioia”?

«La pasta non girava mai a sufficienz­a. In compenso girava qualcos’altro. Eallora ho lasciato perdere. Mi sto dedicando tanto a mia figlia Sofia, che ha 11 anni. L’ho aiutata con i compiti, sebbene abbia trovato un ostacolo insormonta­bile nelle divisioni, che ho delegato alla madre. Per riscattarm­i, ho comprato una rete e ogni giorno abbiamo il nostro “pallavolo time”. Anzi, la informo che sta per scattare l’ora e devo chiudere la telefonata».

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