Oggi

L’eredità di Wojtyla

Quanto c’è di lui in Papa Bergoglio

- di Maria Giuseppina Buonanno

La sera del 16 ottobre 1978, dalla loggia della basilica di San Pietro, KarolWojty­la si presentò così: «Gli eminentiss­imi cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma. Lo hanno chiamato di un Paese lontano… Nella vostra, nella nostra lingua italiana, se mi sbagliomi corrigeret­e». In quel momento, in Argentina, Jorge Mario Bergoglio, allora Provincial­e dei Gesuiti, quando sentì il nomeWojtyl­a, pensò che il nuovo Pontefice fosse africano.

Poi loha conosciuto, apartireda­l 1987, quandonone­ra ancora vescovo, durante il secondo viaggio in Argentina di Papa Wojtyla. Nel 1994, lo ha incontrato in occasione del Sinodo sulla vita consacrata, e successiva­mente durante visite e altri Sinodi, come quello del 2001, dove era stato chiamato come relatore. Ed è proprio nel 2001, il 21 febbraio, che Giovanni Paolo II lo ha creato cardinale.

LONTANI E MOLTOVICIN­I

La sera del 13 marzo 2013, dalla loggia vaticana, Bergoglio si presentò al mondo come il 266° pontefice: «Voi sapete che il dovere del Conclave era di

dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo…». Apartire dalle prime parole pronunciat­e dopo l’elezione, Giovanni Paolo II e Papa Francesco hanno saputo parlare al cuore di tutti: evocando lontananza, hanno subito stabilito una vicinanza. Il 18 maggio si ricordano i 100 anni dalla nascita di Wojtyla, e, in questo anniversar­io, riannodare i fili del loro rapporto porta anche a ricordare l’eredità di Giovanni Paolo II, canonizzat­o proprio da Francesco nel 2014.

Entrambi, ognunoper ilpropriop­eriodo storico, si sono fatti portatori di cambiament­o. In comune hanno sicurament­e la dimensione mediatica e un ruolo-guida sulla scena internazio­nale: se Bergoglio oggi è riconosciu­to come voce-leader mondiale, Wojtyla, nel contrasto ai totalitari­smi, ha contribuit­o alla caduta del Muro di Berlino, nel 1989. E Bergoglio lo ricorda così: «In quel momento storico, Giovanni Paolo II si è reso interprete dell’aspirazion­e di libertà del popolo e ha unito tutte quelle forze buone che hanno portato a un cambiament­o così decisivo». Queste sono le parole che si ritrovano nel libro San Giovanni Paolo Magno, di Papa Francesco (autore con LuigiMaria Epicoco, dapocopubb­licatodaSa­nPaolo). In questo libro, Papa Francesco dice che Giovanni Paolo II «è stato un grande». E anche di essere in sintonia con il suo pensiero sul sacerdozio. Fa riferiment­o alle omelie tenute quando era vescovo di Buenos Aires e alle sue lettere del Giovedì santo. E sul celibato dei preti, che tanto ha creato dibattito dopo il Sinodo sull’Amazzonia dello scorso ottobre, ha precisato: «Sono convinto che il celibato sia un dono, una grazia e, camminando nel solco di Paolo VI, e poi di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, io sento con forza il dovere di pensare al celibato come una grazia decisiva che caratteriz­za la Chiesa cattolica latina».

LAMADONNA E LE DONNE

Anche sulla questione del sacerdozio delle donne, nel libro della San Paolo, ribadisce di essere d’accordo con Giovanni Paolo II: il genio femminile trascende la gerarchia ecclesiast­ica. E racconta che, tra le poche cose che si è fatto portare dall’Argentina dopo l’elezione, c’è la copia dell’enciclica Redemptori­s Mater, dedicata da Wojtyla alla Madonna. Qui c’è un’espression­e che l’ha sempre colpito: «Maria ha una particolar­e fatica del cuore». Papa Francesco l’ha citata nell’Esortazion­e Evangelii Gaudium, per sottolinea­re come la Madre di Gesù «insegna alla Chiesa ad attraversa­re la notte e a fidarsidel giorno», anche quando è lontano. Il legame di Giovanni Paolo II con la Madonna è stato sempre profondo: il suo motto, Totus tuus, era un affido totale a lei. Come forte era il filo che lo legava alle apparizion­i, per esempio di Fatima, considerat­e profetiche dell’attentato subìto a San Pietro nel 1981. La figura della Vergine, anche attraverso la devozione a Maria che scioglie i nodi, è centrale pure nell’esperienza di fede di Bergoglio. Anche se il Pontefice argentino ha un rapporto diverso con le apparizion­i: su quelle di Medjugorie non si è ancora pronunciat­o. Nel solco della spirituali­tà di Giovanni Paolo II, Papa Francesco ha celebrato, lo scorso 19 aprile, nella Chiesa di Santo Spirito inSassia, aRoma, lamessa per la festa della Divina Misericord­ia, istituita 20 anni fa da Giovanni Paolo II. «PapaFrance­scoèdevoto alla Divina Misericord­ia. Lo abbiamo sperimenta­to in particolar­e durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia», ha detto a Vatican News il cardinale Stanislao Dziwisz, arcivescov­o emerito di Cracovia e segretario di Wojtyla. E poi, come non ricordare che nel 2015, Bergoglio ha voluto il Giubileo della misericord­ia. Accanto ai tratti comuni, le differenze certamente nonmancano tra Bergoglio e Wojtyla, pastore instancabi­le, con centinaia di viaggi in quasi 27 anni di pontificat­o, fondatore della Giornata mondialede­lla gioventù, definito atleta diDio per le sue passioni sportive, considerat­o conservato­re nell’etica e progressis­ta nell’ecumenismo, combattent­e eroico contro sofferenze e malattia. «RispettoaP­apaWojtyla, Francescoh­a meno il senso “regale” del suo governo: Giovanni Paolo II aveva una solida catena di segretari e ministri. Francesco resta nel fondo un umile fraticello. Però ha ribadito la continuità con il Papa polacco, proprio nel solco del Vaticano II», hadetto alloSpecia­ledi Oggi dedicato al Papa polacco lo storico Andrea Riccardi, che lo ha conosciuto e ora è vicino al Pontefice argentino. Che poi è il primo Papa di questo periodo storico a non aver partecipat­o al Concilio Vaticano II. E, come ha scritto padre Andreas Lind su La Civiltà Cattolica, ora «staguidand­o laChiesa inunnuovo passaggio generazion­ale».

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SUA SANTITÀ Papa Francesco, 83 anni, nel 2014 ha canonizzat­o Karol Wojtyla, di cui il 18 maggio ricorre il centenario della nascita.
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