LUCA GOLDONI
Dedicoognunodi questi interminabili pomeriggi solitari a una particolare nostalgia, oggi imiei ricordi si aggirano per le antiche viuzzediMoena invaldiFassa... Venerande case di sassi, il balconcino sbilenco e, fuori dal portone, piccole cataste di legna da ardere, impilatameticolosamente a intarsio (quasi che anche il calore debba essere preparato a regola d’arte). E superstiti baite del Settecento in tronchi scuri come rum invecchiato, eappesi fuorigli arnesi di lavori arcaici. Ci vuol poco ad animare questo
presepio di cent’anni fa, immaginarne l’odor di fumo, di resina, di stalla. Le donne con i lunghi capelli raccolti a crocchia che scioglievano solo la sera sui lettoni a due piazze. E le lavandaie riunite ai fontanili dove battevano i panni su pietre levigate da secoli di bucati. Gli uomini che tornavano a passo lentodaipascoli, il cappellosempre in testa, e sulla schienailfieno raccoltonellatela annodata ai quattro lembi. La slitta a cavalli, il buon odore dello sterco fumante. Il pane di segale cotto due volte l’anno, polenta e crauti, qualche sbornia regolamentare. Gli scolari con gli scarponcini chiodati temevano la pagella e le cinghiate del padre. I nonni si spegnevano come candele nel letto di casa, circondati da silenzi e rosari. Il calmo succedersi delle stagioni era segnato dal respiro o dal fragore del torrente. La guerra, per un adolescente, era un’entità vaga, qualcosadiesaltanteecoloratocomenelle oleografie dell’Ottocento. Niente film, né foto, né reportage: quindi nessuna immagine di fango e pidocchi in trincea, di assalti alla baionetta intontiti di grappa, di strazianti agonie sui reticolati. Qualche coscritto spavaldo trovò il tempo di gridare col gesso suimuri W lasuaclassedi ferro. E poic’erano leragazzeconi fiori di campo e labandacol chepì. Si partiva dalla piazza del paese, sui camion 18 BL. La linea del fronte era a pochi chilometri, sulle cime dove adesso ronzano le seggiovie. Qualcuno sopravvisse un anno, qualcuno pochi giorni. Leggo sulla cartolina spedita da una madre: «Carissimosempre, non so comprendere un sì lungo silenzio». Non immaginava la risposta, in una cassa di abete che scese a valle appesa a un carrucola. Mi desto di soprassalto da queste memorie: il maledetto virus ci ha strappato non solo amori, affetti, amicizie e simpatie. Ma anche il rifugiomagicodellanostalgia. È come se avesse ammucchiato un passato anonimo dietro una lastra di vetro. Niente sarà più 95 comeprima, ce lo ripetono sempre.