COVID/ 2 PARLA IL DIRETTORE DELL’ ISTITUTO MARIO NEGRI
SCIENZIATO DI SPICCO Il professore Giuseppe Remuzzi, 71. Dirige l’Istituto Mario Negri dal 1° luglio del 2018.
Negri hanno avuto una intuizione. Hanno messo a punto una macchina che toglie dal sangue gli anticorpidannosi e hanno applicato questa tecnica per togliere ai donatori guariti dal Covid-19 solo gli anticorpi specifici che, trasfusi nei malati, neutralizzano il virus. È un grande passo avanti perché l’infusione di anticorpi neutralizzanti è la cosa più sicura che oggi abbiamo per i malati gravi di coronavirus. Per l’estrazione degli anticorpi occorrono due ore ed è indolore. Poi vengono portati al centro trasfusionale per accertare la possibile presenza di altri virus e quindi vengono donati al paziente».
Quindi la sperimentazione è già avanti?
«Prudenza ho detto, ma i risultati fanno sperare ( finora sono stati trattati e guariti con la nuova tecnica cinque pazienti, ndr). Il dottor Ruggenenti, i suoi medici e i ricercatori del Mario Negri stanno facendo un lavoro meraviglioso. Non possiamo ancora dire se questa sia la soluzione ma è una tecnica nellaquale crediamomolto». eNewEngland
virus senza impegnare il sistema immunitario. Forse il virus non riesce a infettare le cellule… è ancora da capire». Ma già questo condizionerà i prossimi mesi: Crisanti ci spiega perché e fa il punto sulla Fase 2 e le “minacce” dell’autunno.
Professore, si dice che l’alto numero di morti in Lombardia nasconda un altissimo numero di contagiati. E quindi stavo per chiederle se, almeno in quella Regione, non sia stata raggiunta l’immunità di gregge, ma a questo punto mi viene un dubbio… «Già, se gli asintomatici, che sono in maggioranza tra i positivi, non sviluppano anticorpi, non c’è alcuna immunità di gregge: chi è già entrato in contatto con il virus e non si è ammalato, non è protetto».
Questo vanificherebbe la speranza di una “patente di immunità”. Ma non potrebbe anche significare che Sars- Cov-2 assomiglia nel “comportamento”
agli herpesvirus e quindi può rimanere ospite fisso nel nostro organismo?
«Non è ancora escluso. A quel punto, se restasse in latenza, ossia in sonno, dovremmo chiarire in che modo e quando si può risvegliare».
Accennava al gran numero di asintomatici. Lei ha detto più volte che i bambini o non si infettano o in stragrande maggioranza non lo fanno in modo grave, li rimanderebbe a scuola? «Ci stiamo riflettendo. A Vo’ Euganeo abbiamo fatto i tamponi a 257 bambini: nessuno era infetto, eppure 20 di loro vivevano con parenti contagiati che, a loro volta avevano contagiato altri adulti. Un bambino infetto difficilmente contagia i compagni, ma come la mettiamo con i genitori dei compagni e con gli insegnanti? Però, almeno nelle zone a bassa presenza del virus o senza casi attivi, Padova Sud e Rovigo, stiamo ragionando su come farli tornare in sicurezza almeno alle materne. Penso che si possa provare».
I primi due focolai individuati sono stati a Vo’, in Veneto, e a
Codogno, in Lombardia. Sembrava che le due Regioni dovessero avere destini comuni. Perché poi la storia è andata in modo così diverso, con la Lombardia con oltre quattro volte i casi veneti e 15 volte più contagiati al giorno al 10 maggio? «Le faccio l’esempio di Padova, perché spiega anche come si possano eliminare i focolai. Innanzi tutto, abbiamo fatto, a Padova, 140 mila tamponi su 200 mila abitanti: questa è la “sorveglianza attiva”, fare tamponi a tappeto sul territorio e individuare