EDITORIALE
CALCIO, APERITIVI, VACANZE... C’È IN GIRO UNA DISPERATA VOGLIA DI LEGGEREZZA E DI NORMALITÀ
Alla notizia della prossima ripresa del Campionato di calcio alcuni milioni di italiane e italiani hanno tirato un sospiro di sollievo: allora l’emergenza è finita davvero? È il segnale che si torna alla famosa normalità? Piano, piano... Non ne siamo ancora fuori. Se non bastassero i numeri di contagiati e ricoverati, a ricordarcelo provvederebbero le polemiche politiche (e geografiche) su aperture e chiusure, regioni sì e regioni no, passaporti di immunità e certificati di negatività. Per il ritorno alla cara, vecchia normalità dovremo aspettare ancora mesi o anni. Eppure poter rivedere quei «22 uomini in mutande che corrono dietro a un pallone» ci trasmette qualche briciola di euforia. «Il ritorno del calcio», ha scrittoMichele Serra, «sarà il trionfo degli idioti come me, ma anche la rivincita del gioco sulla tragedia, della normalità sull’eccezione. Perché se alla vita levate la leggerezza, levate praticamente tutto».
Ben detto. Quanta voglia di leggerezza che c’è in giro! Prendiamo, per esempio, la vexata quaestio degli aperitivi. Lo sapete tutti: non appena, con l’annuncio della Fase 2, sono state socchiuse le gabbie, la gente si è precipitata in massa nei bar per il rito che precede il pasto serale, e spesso lo sostituisce. Soprattutto i lombardi e in generale quelli delNord, per i quali l’aperitivo è un autentico culto pagano. Esoprattuttoimilanesi, che si fregiano di aver inventato il Negroni Sbagliato (al BarBasso, negli Anni 70) ma anche l’orrido cerimoniale dell’“apericena”. Vedendo le foto e i video dei clamorosi assembramenti sui Navigli mi chiedevo: ma sono tutti rincitrulliti? Tutti irresponsabili? Possibile che dopo due mesi chiusi in casa la prima cosa che viene in mente sia di fiondarsi a prendere l’aperitivo? Lo Spritz dà dipendenza, come le droghe?
Poi ho capito. L’espressione chiave è “voglia di leggerezza”. Trovarsi con gli amici a raccontarsela, col bicchiere in mano, cazzeggiare finalmente, ridere, sfidare la logica e i divieti con la mascherina appesa a un orecchio o abbassata sul mento, diventare un po’ brilli, ma appena un po’. Io non ci sono andato, a prendere l’aperitivo, ma quelli che lo hanno fatto, dopo averli mentalmente insultati, li ho compresi. Sono stati mesi pesanti, per tutti. In misura drammatica per coloro che si sono ammalati, per chi ha avuto un parentemorto, per chi ha lottato in prima linea negli ospedali, per chi ha dovuto subire convivenze difficili in poche decine dimetri quadrati, certo. Ma sono stati mesi pesanti anche per il restante 90 per cento della popolazione. Giornate cupe, scandite dai bollettini di guerra della Protezione civile, dalle innumerevoli e angoscianti esternazioni degli esperti (i quali non sapevano neppure loro che pesci pigliare), dalle fosche ipotesi sulla persistenza del virus sulle superfici e nell’aria che respiriamo, dalle terribiliprevisioni su una “nuova ondata” dopo l’estate, o forse anche prima, perché il caldo non uccide il Covid, guardate il Brasile...
Abbiamo tutti cercato rifugio nelle fiction in tv, nei libri, nei giornali come il nostro, dove abbiamo sempre cercato dimantenere un equilibrio fra informazione sul virus e oculate dosi di intrattenimento. Eadesso, a poco a poco, sento chenelle conversazioni cominciano a evaporare le opinioni sulla pandemia, sostituiteda temi e argomenti più soft, meno impegnativi, come possono essere appunto il calcio, o le disavventure sentimentali di Belén. Non è che siamo diventati di colpo, o ri-diventati, più frivoli o superficiali, è che abbiamo un bisogno disperato di pensare ad altro, di distrarci, di allentare la tensione.
Qualcosa di simile era successa tre quarti di secolo fa, quando finì la Seconda guerra mondiale e gli italiani uscirono da anni di sofferenze e privazioni. Non si possono fare paragoni, naturalmente, da nessun punto di vista. In comune c’è forse solo la voglia di ricominciare e buttare alle spalle ansie e preoccupazioni. Ma con una differenza fondamentale. La mette a fuoco Gian Antonio Stella nell’intervista diValeria Palumbo a pag 66: «Allora c’era la capacità di essere felici con niente». Ecco, non è proprio il nostro caso, a giudicare dagli aperitivi, o dalle code dello scorso weekend sulle strade. Il niente non ci basta, e neanche il poco. Per parafrasare il titolo di un famoso libro di Nanni Balestrini, «rivogliamo tutto». Ma succederà? E quando?