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EDITORIALE

CALCIO, APERITIVI, VACANZE... C’È IN GIRO UNA DISPERATA VOGLIA DI LEGGEREZZA E DI NORMALITÀ

- di Umberto Brindani

Alla notizia della prossima ripresa del Campionato di calcio alcuni milioni di italiane e italiani hanno tirato un sospiro di sollievo: allora l’emergenza è finita davvero? È il segnale che si torna alla famosa normalità? Piano, piano... Non ne siamo ancora fuori. Se non bastassero i numeri di contagiati e ricoverati, a ricordarce­lo provvedere­bbero le polemiche politiche (e geografich­e) su aperture e chiusure, regioni sì e regioni no, passaporti di immunità e certificat­i di negatività. Per il ritorno alla cara, vecchia normalità dovremo aspettare ancora mesi o anni. Eppure poter rivedere quei «22 uomini in mutande che corrono dietro a un pallone» ci trasmette qualche briciola di euforia. «Il ritorno del calcio», ha scrittoMic­hele Serra, «sarà il trionfo degli idioti come me, ma anche la rivincita del gioco sulla tragedia, della normalità sull’eccezione. Perché se alla vita levate la leggerezza, levate praticamen­te tutto».

Ben detto. Quanta voglia di leggerezza che c’è in giro! Prendiamo, per esempio, la vexata quaestio degli aperitivi. Lo sapete tutti: non appena, con l’annuncio della Fase 2, sono state socchiuse le gabbie, la gente si è precipitat­a in massa nei bar per il rito che precede il pasto serale, e spesso lo sostituisc­e. Soprattutt­o i lombardi e in generale quelli delNord, per i quali l’aperitivo è un autentico culto pagano. Esoprattut­toimilanes­i, che si fregiano di aver inventato il Negroni Sbagliato (al BarBasso, negli Anni 70) ma anche l’orrido cerimonial­e dell’“apericena”. Vedendo le foto e i video dei clamorosi assembrame­nti sui Navigli mi chiedevo: ma sono tutti rincitrull­iti? Tutti irresponsa­bili? Possibile che dopo due mesi chiusi in casa la prima cosa che viene in mente sia di fiondarsi a prendere l’aperitivo? Lo Spritz dà dipendenza, come le droghe?

Poi ho capito. L’espression­e chiave è “voglia di leggerezza”. Trovarsi con gli amici a raccontars­ela, col bicchiere in mano, cazzeggiar­e finalmente, ridere, sfidare la logica e i divieti con la mascherina appesa a un orecchio o abbassata sul mento, diventare un po’ brilli, ma appena un po’. Io non ci sono andato, a prendere l’aperitivo, ma quelli che lo hanno fatto, dopo averli mentalment­e insultati, li ho compresi. Sono stati mesi pesanti, per tutti. In misura drammatica per coloro che si sono ammalati, per chi ha avuto un parentemor­to, per chi ha lottato in prima linea negli ospedali, per chi ha dovuto subire convivenze difficili in poche decine dimetri quadrati, certo. Ma sono stati mesi pesanti anche per il restante 90 per cento della popolazion­e. Giornate cupe, scandite dai bollettini di guerra della Protezione civile, dalle innumerevo­li e angosciant­i esternazio­ni degli esperti (i quali non sapevano neppure loro che pesci pigliare), dalle fosche ipotesi sulla persistenz­a del virus sulle superfici e nell’aria che respiriamo, dalle terribilip­revisioni su una “nuova ondata” dopo l’estate, o forse anche prima, perché il caldo non uccide il Covid, guardate il Brasile...

Abbiamo tutti cercato rifugio nelle fiction in tv, nei libri, nei giornali come il nostro, dove abbiamo sempre cercato dimantener­e un equilibrio fra informazio­ne sul virus e oculate dosi di intratteni­mento. Eadesso, a poco a poco, sento chenelle conversazi­oni cominciano a evaporare le opinioni sulla pandemia, sostituite­da temi e argomenti più soft, meno impegnativ­i, come possono essere appunto il calcio, o le disavventu­re sentimenta­li di Belén. Non è che siamo diventati di colpo, o ri-diventati, più frivoli o superficia­li, è che abbiamo un bisogno disperato di pensare ad altro, di distrarci, di allentare la tensione.

Qualcosa di simile era successa tre quarti di secolo fa, quando finì la Seconda guerra mondiale e gli italiani uscirono da anni di sofferenze e privazioni. Non si possono fare paragoni, naturalmen­te, da nessun punto di vista. In comune c’è forse solo la voglia di ricomincia­re e buttare alle spalle ansie e preoccupaz­ioni. Ma con una differenza fondamenta­le. La mette a fuoco Gian Antonio Stella nell’intervista diValeria Palumbo a pag 66: «Allora c’era la capacità di essere felici con niente». Ecco, non è proprio il nostro caso, a giudicare dagli aperitivi, o dalle code dello scorso weekend sulle strade. Il niente non ci basta, e neanche il poco. Per parafrasar­e il titolo di un famoso libro di Nanni Balestrini, «rivogliamo tutto». Ma succederà? E quando?

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Il belga Romelu Lukaku in azione durante Juventus- Inter dell’8 marzo, ultima partita giocata in Serie A.
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