Via col vento
Il film è razzista? Tutti i casi nel mirino revisionista
Sarà capitato anche a voi, di recente, di sobbalzare davanti alla scena di un party o una discoteca affollata in un film: abbiamo così interiorizzato il distanziamento fisico che quando vediamo scene “della vita di prima”, in cui non c’era, ci spiazza. Sta succedendo qualcosa di simile con altre cose che prima ci parevano tollerabili e ora ci disturbano. Negli ultimi giorni ha stupito la decisione della HBO di rimuovere Via col vento dalla propria piattaforma streaming (e riammetterlo, preceduto da una spiegazione “contestualizzante”). Motivo: offre una visione discriminatoria degli afroamericani. Che, per chiarirci, è vero.
RIBALTA CAUSE ED EFFETTI
Ma farlo nel pieno dei movimenti di protesta nati dal barbaro omicidio di George Floyd a Minneapolis pare un gesto estremo e, ammettiamolo, inutile. Ribalta causa ed effetto: l’America non è razzista perché ha guardato troppo Via col vento. L’America ha prodotto Via col vento perché era ed è razzista, nonostante l’abolizione della segregazione razziale risalga al 1862. Il libro da cui nel 1939 viene tratto il film del «francamente me ne infischio» è del 1936. Attribuirgli un ruolo nella diffusione di un’immagine denigratoria degli afroamericani oggi equivale a ignorare tutto quello che è accaduto negli ultimi 80 anni. Troppi episodi di razzismo, certo, ma anche l’Oscar come migliore attrice non protagonista di quel film a Hattie McDaniel (cioèMami), OprahWinfrey nella top 10 delle self-made Women 2019 di Forbes fino ai due mandati di Barack Obama alla Casa Bianca. Criminalizzare Via col Vento oggi sivinse 8 Oscar ed ebbe incassi stimati in 3,44miliardi di dollari attuali: il record di sempre
gnifica insomma ignorare anche tutto quello che è stato fatto per discostarsi da quel che il film racconta. E mica è giusto.
Pretendere di cancellare le effigi della storia e della cultura che furono, solo perché oggi ci paiono sbagliate, indebolisce anche la memoria di lotte, rivoluzioni e strappi che ci hanno resi diversi, in molti casi migliori. E una volta cancellata la memoria, rimane il presente, non sempre coerente con l’estremismo revisionista. Per fare un esempio: nell’America che criminalizza Via col vento (e decapita, a Boston, la statua di Cristoforo Colombo), il Ku Klux Klan non è un’organizzazione fuorilegge, e non lo sono neanche i movimenti di ispirazione dichiaratamente neonazista. Ed è così in nome dell’unico vero monumento della cultura americana: la libertà di espressione. Giusto? Sbagliato? Non sta a noi. Ma incoerente con l’iconoclastia di questi giorni di certo sì. Incoerente e contagioso.
BOSTON, LONDRA E MILANO...
E infatti ecco che a Londra i manifestanti abbattono la statua di Edward Colston, imprenditore colonialista del 1700 (che però lasciò le sue fortune ai poveri) e il sindaco di origini pakistane Sadiq Khan fa rimuovere dai docks la statua di Robert Milligans, imprenditore e mecenate anche lui immischiato nella tratta (era il 1700, era l’Inghilterra colonialista). Ecco poi che la catena di supermercati svizzera Migros ritira dagli scaffali il Moretto, dolcetto al cioccolato ritenuto oggi offensivo. E a Milano I Sentinelli (associazione che dal 2004 si batte contro discriminazioni di ogni tipo) chiedono la rimozione della statua che la città ha eretto a IndroMontanelli nei giardini di via Palestro, a lui intitolati. Motivo: durante il periodo colonialista dell’Italia, Montanelli comprò in moglie una dodicenne abissina (senza
mai rinnegarlo, in seguito). Giusto negargli la statua? Sbagliato? Ancora, non sta a noi dirlo. Quel che possiamo fare è provare a immaginare suquante e quali altre espressioni culturali del passato potremmo applicare il filtro della nostra sensibilità di oggi, per vedere cosa rimarrebbe.
ADDIOLOLITAETANTI ALTRI
Non potremmo più leggere La capanna dello zio Tom, Lolita, guardare la miniserie cult degli Anni 70 Radici. Dovremmo dare ragione all’Università di Cambridge che vuole cancellare il Tito Andronico di Shakespeare dai piani di studio perché violento o alla Columbia University che ha bandito per lo stessomotivo Le metamorfosi di Ovidio, o all’Università di Manchester che ha censurato i versi diKipling incisi sul muro d’ingresso dell’ateneo. L’elenco delle epurazioni è lunghissimo (e la pericolosità del gioco è benmotivata in Libri al rogo, di Pierluigi Battista, Nave di Teseo). Ma restiamo al cinema. Seguendo il “Lodo Via col vento”, non potremmo più vedere Indovina chi viene a cena o Il principe cerca moglie o Totò Truffa 62, dove il principe de Curtis rappresenta l’ambasciatore di un inesistente Stato africano, il Katonga, con l’anello al naso. O dovremmo epurare Yuppi Du di Adriano Celentano per quella scena al bar in cui, accanto a un omone di colore che chiede al barista «unNegroni», Felice fa eco con un «Per me un bianchino». Ocancellare dalla formazione dei millennials I ragazzi della 3^ C per via del modo caricaturale in cui era rappresentato (e trattato) Aziz, il cameriere di casa Zampetti. Se il Moretto va via dagli scaffali, allora smettiamo anche di comprare le Tabù, le liquirizie mignon pubblicizzate a lungo con uno spot - protagonista un nero di cui si vedeva solo il bianco dei denti - il cui gingle («Ta-tttà, ta-tttabù», in seguito: «Anche bianco») capita ancora di canticchiare; e al rogo Ava (…come lava) che ha bullizzato il povero Calimero piccolo e nero per far diventare più bianchi i nostri vestiti.
Poi ci sarebbero le centinaia di film che ripropongono da decenni gli stereotipi degli italiani mafiosi o, nella migliore delle ipotesi, pizza-spaghetti-mandolino... È un gioco pericoloso
ÈANDATA A ACASACO N IL NEGRO LA T***A. MIM SON DISTRAT TT TO UN ATTIMO O, COLPA D’ALFREDO O OGN I PARTITA ACU UI GIOCHI, OGN NI I NOTTE CHE ER RIMANI, TI STARÒ S GUAR RDANDO, R NON VEDI V CHE MI AP PP PARTIENI? HAI CHIAMATO LAVOLANTE, E VOLEVI FARMI METTERE IN MANETTE, SOLO PERCHÉ AVEVO PERSO LAPAZIENZA PURE MASINI Marco Masini, 55. Sopra, Bella Stronza. SIAMO IWATUS SSI, GLI ALTIS SSIMI NEGRI I, OGNI 3 PA ASSI, OGNI 3 PA ASSI FACCIAM MO 6METR RI
e a perdere, a impoverire, lo avrete capito. Ma proviamo a giocare ancora e vediamo cos’altro non dovremmo, per esempio, canticchiare più. Via i Watussi, gli altissimi negri diEdoardo Vianello, via Colpa d’Alfredo di Vasco Rossi («È andata a casa con il negro la t***a»).
Non si salverebbe neanche Angeli neri di Fausto Leali, che pur nata con le migliori intenzioni («Io sono un povero negro e d’una cosa ti prego/pure se la Vergine e bianca, fammi un angelo negro») frana su un “solo” («Tutti i bambini vanno in cielo/anche se son solo negri»).
E ancora: scordiamoci El negro Zumbon (lanciata da SilvanaMangano nel film di Alberto Lattuada Anna, ricicciata da Nanni Moretti in Caro Diario), Negro diMarcella Bella («Negro, non puoi fermare un ballo negro, tremi perché tu come me ti senti vero negro»). Non se ne esce.
IL «TEOREMA» SULLE DONNE
E che dire delle canzoni che propongono una visione della donna come “proprietà” o cantano la violenza su di loro? Via Teorema diMarco Ferradini («Prendi una donna, trattala male», «fuori dal letto nessuna pietà»); via anche Meschina dei Modà («Inginocchiati, concediti, accontentami, guardami, piangi, prega e chiedi scusa… e implorami di non ucciderti») e anche Bella stronza di Marco Masini («Hai chiamato la volante quella notte/ E volevi farmi mettere in manette/Solo perché avevo perso la pazienza); via Bellissima di Loredana Berté («A letto mi diceva sempre non vali che un po’ più di niente»).
E avete mai pensato a Every breath you take dei Police? Per tutti una canzone d’amore, ma l’avete letta? «Ogni singolo giorno e ogni parola che dici/ Ogni partita a cui giochi/ ogni notte che rimani/ti starò guardando/Nonvedi che appartieni a me?». Un ex che ci segue ovunque e che ci considera cosa sua: altro che ballata d’amore, per moltomeno oggi parte la denuncia per stalking. Potremmo non finire più. Perché il passato rivisto oggi sembra sempre vecchio, superato. Spesso in meglio. Ma è proprio per quello non ha senso cancellarlo: ci ricorda la strada fatta e, all’occorrenza, ci suggerisce come riprenderla.
Perché invece non provare a sfruttare l’improvvisa (e tardiva) attualità di questi temi per farne ancora, di strada? «Proviamo a concentrarci su quali opere d’arte possiamo iniziare a costruire adesso, divulgando la cultura e raccontando perché razzismo, fascismo e populismo non sono ideali da esaltare ma orrori da combattere. Aggiungiamo statue di donne, afrodiscendenti, di combattenti contro il razzismo», scrive Gabriella Nobile (mamma adottiva di due ragazzi nati in Africa e autrice di I miei figli spiegati a un razzista, Mondadori). Come dire: stereotipi e razzismo vanno combattuti nel presente e sulla carne viva di tutti noi, non nel marmo, nel bronzo, nella celluloide di un film di 80 anni fa.