Carabinieri e scandali
La caserma degli orrori di Piacenza è solo l’ultimo colpo alla credibilità dell’Arma
Ho sempre creduto che niente e nessuno potessero coprire di fango due secoli di storia e di gloria. L’Arma dei Carabinieri, nata a Torino nel 1814 per volere di Vittorio Emanuele I, che nel 1949 Sua Santità PioXII affidò alla Patrona, la Virgo Fidelis, oggi è sballottata dalla tempesta. Duecento anni di eroismo e medaglie, encomi e riconoscimenti, sempre al servizio della gente. Il balordo poteva capitare e capitava ma non durava, veniva espulso. Non aveva tempo di infettare. Oggi sembra una epidemia».
Il mio amico maresciallo, che da qualche anno si gode la pensione dopo decenni di guerra a “Guardie e ladri,” non solo in Lombardia, appare sinceramente sconvolto. Non finge di cascare dalle nuvole. Non riesce a credere a quello che sta succedendo. E per questo mi chiede un favore: «Lasciami fuori. Ho ancora tanti amici in servizio. Non voglio fare il saccente che giudica dall’esterno». Gli faccio notare che qualcosa succedeva anche allora, solo che certe
notizie non trapelavano. Le sberle durante gli interrogatori volavano. Le ho viste anche io gironzolando per i corridoi.
«Erano episodi marginali. Oggi è una buferamai vista. Sono entrato nell’Arma giovanissimo, mi hai conosciuto che non ero brigadiere, sono andato in pensione da maresciallo maggiore comandante di stazione. Ne ho viste in vita mia ma oggi leggo cose dell’altro mondo».
UNA BANDA DI CRIMINALI
Ma dieci carabinieri implicati, di cui sei arrestati, scommetto che non li avevamai visti... «Con quella sfilza di reati poi! Fra cui, quello secondo me più grave e infame: gli arresti illegali. L’Accusa parla di una banda di criminali in divisa. A Piacenza una caserma sotto sequestro, comandanti rimossi, una città in mano a un pugno di delinquenti che spacciavano, torturavano, ricattavano e ostentavano. Senti, non ti voglio dire altro, ma mi chiedo: quale era il grado di consapevolezza e di partecipazione degli ufficiali? Sapevano e nessuno ha parlato?».
Pare che sia così se l’intera catena di comando è stata rimossa. Non vedevano e non sentivano nulla di quel che accadeva attorno a loro? Solo due anni fa i militi arrestati avevano ricevuto un encomio solenne. Con quale valutazione? Si parla di 40 arresti in fotocopia. Possibile che a nessuno sia venuto un dubbio? Ma i comandi si preoccupavano solo di tenere la conta degli arresti necessari per avere encomi e scatti di carriera?
Gli interrogatori degli indagati sono appena iniziati. L’appuntato che girava col Suv o con l’Audi e che viveva in una villa con piscina fa scalpore ma il Procuratore capo Grazia Pradella non ha alcuna intenzione di fermarsi in superficie. Molte ipotesi di reato saranno approfondite.
Anche perché gli scandali nell’Arma sono diventati all’ordine del giorno.
I CASI PIÙ SCOTTANTI
19 anni dopo l’omicidio di Serena Mollicone (1° giugno 2001), uccisa in caserma ad Arce, sono stati rinviati a processo un maresciallo comandante la stazione, la moglie, il figlio, un appuntato e un luogotenente della stessa stazione dove un brigadiere si era suicidato.
Un altro maresciallo a Cassano Murge è finito in carcere per peculato, depistaggio e omessa denuncia. A Firenze in manette due sottufficiali dei carabinieri del Nas colti in flagranzamentre incassavano una mazzetta di 15 mila euro da un odontoiatra. A Sant’Antimo di Napoli arrestati cinque carabinieri per corruzione.
A fine gennaio c’era stata la condanna a 5 anni e 6 mesi per uno dei due ex carabinieri di Firenze accusati di violenza sessuale per aver abusato di due studentesse americane il 7 settembre 2017. Il capo pattuglia era già stato condannato a 4 anni e 8 mesi con rito abbreviato.
E poi la tragica vicenda di Stefano Cucchi conclusa dopo dieci anni e 8 processi per conoscere la verità sul pestaggio e la morte del ragazzo. E non è ancora finita perché la Procura di Roma ha impugnato l’ultima sentenza che ha visto la condanna a 12 anni per omicidio preterintenzionale di due carabinieri e a tre anni per un maresciallo accusato di aver manomesso le relazioni di servizio. Ci saranno altri processi e intanto medici e guardie carcerarie si sono rovinati per difendersi da accuse false.
Altri nove anni e un’odissea giudiziaria per chiudere la squallida vicenda del ricatto al governatore del Lazio Piero Marrazzo. Condannati quattro carabinieri della Compagnia Trionfale di Roma con pene dai 10 ai tre anni.
Intanto, sempre a Roma, è iniziato un altro processo destinato a durare un’eternità. È quello per l’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, ucciso nel quartiere Prati con 11 coltellate da un giovane americano durante un pattugliamento che, si è scoperto, venne fatto senza pistola, senza tesserino e con un ordine di servizio in bianco. Anomalie inspiegabili. L’amico maresciallo ricorda però che in Italia la Benemerita conta su 110 mila uomini, che è l’asse portante del nostro sistema di sicurezza ed è piena di fedeli servitori dello Stato. Allora cosa bisogna fare per eliminare le cosiddette mele marce?
«Il sistema c’era e funzionava. La selezione degli uomini, che è fondamentale, deve essere fatta con discrezione. Una volta un giovane per entrare nell’Arma doveva superare, metaforicamente, la radiografia, la Tac e la risonanza magnetica. Si raccoglievano informazioni sul soggetto, i familiari, chi frequentava, carattere, propensioni... Bisognava sapere tutto e si faceva una scheda precisa. Oggi non si fa più. Lo ha ricordato anche il Procuratore generale militare Marco De Paolis: “Dobbiamo ripartire dalla formazione e dall’etica”. Basti pensare che per i militari la codardia è un reato».