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« Sono pronta a pagare per aiutare il figlio di Luana »

«NON CHIEDO SCONTI, VOGLIOSO LO CHELA SUA FAMIGLIA SIA RISARCITA PRESTO », CI DI CELA DATRICE DI LAVORO DELLA GIOVANE MAMMA INGHIOTTIT­A DA UN INGRANAGGI­O

- Di Marco Gasperetti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Inizia a parlare e si commuove: «Mi sento responsabi­le della morte di Luana, avrei dovuto vigilare di più. Dovevo capire che cosa succedeva in quel reparto. Io non ero lì, accanto a lei, e questo mi fa sentire ancora più in colpa». Luana Coppini, 58 anni, è la titolare dell’azienda tessile di Montemurlo (Prato) dove il 3 maggio dello scorso anno un’operaia di 22 anni fu inghiottit­a da un macchinari­o la cui protezione era stata disattivat­a e morì tra gli ingranaggi. Si chiamava Luana D’Orazio ed era mamma di un bambino, Donatello, che ha appena compiuto sei anni.

L’imprenditr­ice ha appena scritto una lettera all’assicurazi­one ammettendo le sue responsabi­lità nella tragedia. E ancor prima del rinvio a giudizio e del processo, ha chiesto alla compagnia di risarcire al più presto la famiglia della giovane operaia. Luana Coppini è accusata di omicidio colposo e rimozione dolosa delle cautele infortunis­tiche. La procura di Prato ha chiesto il suo rinvio a giudizio assieme al marito Daniele Faggi, contitolar­e dell’azienda, e al manutentor­e esterno, Mario Cusimano. Per la prima volta Luana Coppini ha accettato d’essere intervista­ta.

Perché ha deciso di scrivere all’assicurazi­one e di accettare un’intervista? È una strategia in vista di un possibile processo?

«Quello che sto facendo per me è estremamen­te doloroso, ma è l’unico modo per fare qualcosa per Luana e per suo figlio. Non cerco nessuna attenuante, non chiedo sconti e voglio che la giustizia faccia il suo corso. L’unico mio scopo è cercare di aiutare in qualche modo la famiglia di quella ragazza, che per me era molto di più di un’operaia. Molto di più».

Nella lettera, lei ammette di essere in parte responsabi­le della sua morte.

«Avrei dovuto vigilare di più. Sono un’imprenditr­ice operaia. Lavoro anch’io davanti allemacchi­ne, in un altro reparto. Dovevo essere più presente anche in quello dove lavorava lei. Siamo una piccola azienda, avrei potuto».

È titolare di un’azienda di 15 lavoratori, com’è possibile che non abbia mai saputo che i sistemi di sicurezza erano stati disattivat­i?

«Non l’homai saputo. Sarei intervenut­a immediatam­ente. Non avrei maimesso a rischio l’incolumità dei miei ragazzi. È fuori da ogni logica. Oltretutto la produzione con o senza sistemi di sicurezza sarebbe stata identica, nessun guadagno in più. Solo rischi».

Eppure lei è accusata anche di manomissio­ne dolosa delle cautele infortunis­tiche. Come se lo spiega?

«Non devo essere io a spiegarlo ma il giudice. Io devo raccontare solo la verità. Non ho mai avuto la sensazione che in quel reparto si lavorasse in una situazione di non sicurezza e ovviamente non ho mai percepito che le protezioni di sicurezza fossero state disattivat­e. E per questo mi sento ancora più in colpa. La nostra non è solo una fabbrica».

E che cosa è?

«Una famiglia. Può crederci o meno, ma è così. Festeggiam­o i compleanni, parliamo, cerchiamo di migliorare il lavoro. l So che cosa significa essere un’operaia, u lo sono stata anch’io. Avevo A 13 anni e mezzo. Sette anni dopo ho fondato questa orditura. Ho investito per far crescere l’azienda. E ho cercato di farla crescere anche eticamente anche nei rapporti interperso­nali. Quando io ero un’operaia ragazzina di un’altra azienda avevo davanti un cartello. C’era scritto: “Lavorate in silenzio. Chiacchier­ando si produce poco e male”. Qui da noi non ci sono cartelli di questo tipo. Si parla, ci si ferma quanto si è stanchi. Si cerca di comprender­e i problemi di tutti e conciliarl­i con le necessità del lavoro. E della sicurezza. In più di trent’anni non era mai accaduto niente. Mai un infortunio, il più piccolo».

Ma poi è accaduto l’irreparabi­le. Come è stato possibile, allora?

«Sono ancora qui a chiedermel­o. Perché i sistemi antinfortu­nistici sono stati disattivat­i? Per dimentican­za? Per comodità? Per che cos’altro? Perché non sono stata informata? Spero che la verità sia stabilita. Io sono responsabi­le di non aver vigilato, lo ripeto ancora. E sono tormentata dai sensi di colpa».

Ha chiesto perdono alla mamma di Luana?

«Sì, più di una volta. Anche durante i funerali. Poi i rapporti sono cambiati. La comprendo e solo lontanamen­te posso capire il suo dolore. Io continuo a pensare a sua figlia. A volte vado a trovarla al cimitero di nascosto, senza farmi vedere da nessuno. Prego e piango, parlo con lei».

Luana però aveva detto alla madre che i macchinari erano “sconquassa­ti”.

«Tutti funzionava­no bene e non erano vecchi. Continuano a funzionare bene anche oggi. Si lavora pensando a Luana, nel suo ricordo. Si va avanti, con fatica e dolore».

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Ha lasciato un bimbo che oggi ha sesei annanni

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