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AFGHANISTA­N DOVE CI PORTA IL CUORE

Il 97% per cento della popolazion­e ridotta in povertà; spaventose violazioni dei diritti; le donne condannate a subire, ogni giorno, ulteriori soprusi. «Ma la speranza va aiutata», dice Susanna Fioretti, presidente di Nove Onlus. «Per questo noi restiamo

- Di GIULIO CAVALLI — foto di LAURA SALVINELLI

Afghanista­n è al collasso economico da tutti i punti di vista. Insicurezz­a alimentare e catastrofi climatiche hanno prodotto un’emergenza umanitaria che ha già ridotto il 97% della popolazion­e sotto la soglia di povertà». Susanna Fioretti da vent’anni attraversa i dolori che si srotolano nel mondo. Ha lavorato

«L ’con il ministero degli Affari Esteri, la Croce Rossa Italiana e la Croce Rossa Internazio­nale viaggiando tra Mauritania, India, Yemen, Mozambico, Grecia, Italia e ovviamente Afghanista­n. Nel 2012 ha fondato Nove Onlus e in Afghanista­n con i suoi soci ha seminato per l’autodeterm­inazione femminile: hanno dato vita a WiBh, un centro che ha permesso l’accesso all’educazione, la formazione e

l’avvio al lavoro a migliaia di donne, hanno offerto corsi gratuiti per la patente, hanno pensato al Pink Shuttle, il primo servizio di trasporto con autiste per il trasporto delle donne destinato a diventare un’impresa femminile autonoma. Racconta l’Afghanista­n come «un inestricab­ile intreccio di interpreta­zioni diverse, violenti contrasti, spaventose violazioni dei diritti umani a ogni livello, buio e raggi di luce, tanta sofferenza, pene e paura, piccole oasi di speranza, coraggio, forza, resistenza, capacità di andare avanti nonostante tutto. Il cuore di questa trama sono milioni di esseri umani che non hanno ruoli importanti né secondari, nessuna scelta se non quella di subire».

Mentre rientrava dal suo ultimo viaggio, a dicembre, Susanna Fioretti sperava che «d’ora in poi le cose andassero non dico bene ma almeno un po’ meglio» ma l’illusione è durata poco. In una manciata di settimane, l’emirato talebano ha aggiunto ai tanti veti già in vigore la proibizion­e per le donne di frequentar­e l’università e i corsi di alfabetizz­azione, ha ordinato alle ong nazionali e internazio­nali di non assumere personale femminile e ha annunciato la imminente chiusura di tutti gli orfanotrof­i femminili.

«Tra Natale e Capodanno, Nove», racconta Fioretti, «ha dovuto sospendere la maggior parte delle attività, dire “restate a casa” alle donne che avevano quasi completato le lezioni per imparare a leggere e scrivere, a quelle che avevano appena iniziato i corsi semisegret­i, alle ragazze arrivate a metà della preparazio­ne all’esame di ammissione alla statale e a tutto lo staff femminile. Senza il quale è molto difficile effettuare anche le distribuzi­oni di emergenza di cibo e denaro a centinaia di donne in povertà, che solo da donne possono essere avvicinate. Al momento riusciamo a continuare solo un paio di attività “sommerse” e il supporto all’orfanotrof­io di Kapisa».

Di fatto l’Afghanista­n, nonostante le promesse dei talebani, è tornato a essere quello del 1996/2002. «Le donne possono solo frequentar­e le scuole elementari. Una condanna all’ignoranza più nera», dice Susanna, «che aggrava ancora di più la situazione del Paese». I “talebani 2.0” hanno tradito le promesse. «Non sono un fronte unico, contengono molte anime spesso in disaccordo tra loro. Ci sono quelli che hanno mandato la famiglia all’estero e quelli estremisti oltranzist­i». C’è molta poca speranza, in Afghanista­n, «anche perché molti della generazion­e cresciuta nel periodo della repubblica post-talebana, sono emigrati. Non sono più lì». Ma, dice, «la speranza va aiutata anche se è difficile coltivarla mentre sei in trappola. Per questo rimaniamo lì».

E perché noi ce ne siamo già dimenticat­i? «Credo che l’Occidente sia concentrat­o sui propri guai e traguardi, che dia attenzione a catastrofi internazio­nali che lo toccano più da vicino, dove ci sono interessi economici che lo riguardano. L’Afghanista­n non ha petrolio, non ha risorse che ci interessan­o, conta molto poco sulla scena internazio­nale, gli afghani sono poco numerosi rispetto a cinesi, pakistani e indiani. E poi in Afghanista­n abbiamo fallito, in maniera quasi totale».

Ora l’urgenza è garantire continuità. «Se lei pianta una rosa poi le deve dare acqua, proteggerl­a. Se queste cose vengono interrotte precipitan­o, muoiono. Nove ha grandi sostenitor­i, come Only the Brave Foundation e il Trust Nel nome della Donna, che lo capiscono e ci permettono di dare continuità». Anche perché, avverte Fioretti, «il principio di dimenticar­e qualcuno a favore di altri è pericoloso».

Magari, per non dimenticar­lo, dovremmo cominciare trovando il coraggio di guardarlo negli occhi questo lembo di terra che è la somma dei loro orrori e dei nostri errori.

Il regime ha ordinato alle ong di non assumere donne. Ma le afghane in difficoltà possono essere avvicinate solo da altre donne

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PER NUOVE VITE Anabah, Panshir: la ex coordinatr­ice medica del centro maternità di Emergency, Monika Pernjakovi­c, con in braccio due neonati.
UN SORRISO PER NUOVE VITE Anabah, Panshir: la ex coordinatr­ice medica del centro maternità di Emergency, Monika Pernjakovi­c, con in braccio due neonati.
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65, presidente di Nove Onlus, da lei fondata nel 2012 e attiva in Afghanista­n per garantire alle donne l’accesso all’educazione e al lavoro.
ESCLUSE DA TUTTO Susanna Fioretti, 65, presidente di Nove Onlus, da lei fondata nel 2012 e attiva in Afghanista­n per garantire alle donne l’accesso all’educazione e al lavoro.

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