Censura, l’ultima idea «forte» di sinistra
Continua l’ondata d’insulti sul web contro il regista Gabriele Muccino, reo di aver criticato negativamente lo stile cinematografico di Pier Paolo Pasolini. L’intellettuale di Uccellacci e uccellini è il totem di una casta ideologica senza presente. Che,
Si pensava che fossero finalmente scomparsi dal cammino della Storia e invece al richiamo della foresta sono sbucati da ogni angolo della sinistra. È bastato che il regista Gabriele Muccino dichiarasse di non apprezzare il cinema di Pier Paolo Pasolini, perché si scatenasse l’insurrezione della variegata congregazione di scrittori, giornalisti, cineasti, accademici, tutti improvvisamente d’accordo nel dare addosso all’untore che si è permesso di criticare un loro totem.
Non si tratta, per adesso, di salvare Pasolini dai pasoliniani, ma almeno esprimere un po’ di stupore per questa inossidabile refrattarietà della sinistra alla discussione, al riconoscimento delle idee di chi la pensa diversamente. In quel mondo che esibisce dogmatismo e aggressività culturale non è cambiato niente: sono scivolati via senza lasciare traccia il tramonto del comunismo, l’abbattimento della cortina di ferro, la trasformazione delle politiche nazionali europee e la ridefinizione della geografia degli Stati.
Negli anni della guerra civile ideologica si poteva anche comprendere il motivo dello scontro culturale a prescindere dal valore dell’avversario che il comunista sceglieva come proprio obiettivo da attaccare. In quei tempi si doveva difendere l’intellettuale organico del partito o il compagno di strada o «l’utile idiota» di leniniana memoria: la sinistra era bravissima a creare un recinto intorno ai propri intoccabili, e se qualcuno fosse riuscito a superare quel recinto e criticare un loro affiliato era finito, come scrittore, come artista, come cineasta, come accademico. Con questa strategia, la sinistra ha costruito la sua egemonia culturale in Italia, che l’indifferenza o la pigrizia della cultura liberale e cattolica non sono riuscite purtroppo ad arginare.
Ma oggi c’è da chiedersi che senso abbia (dal punto di vista politico ma anche culturale) replicare quei vecchi modelli comunisti, con cui si aggrediva il diverso. Allora c’era l’ideologia, ma oggi? Oggi si tratta soltanto di ritualità patetiche, con cui la «cultura di sinistra» mostra di non avere più un passato ma neppure più un presente.
In che cosa consiste, allora, l’attacco al regista Gabriele Muccino? È l’esercizio di un potere d’interdizione da parte di una casta che, con il pretesto di difendere un proprio adepto, manda un messaggio chiaro e tondo a chi non intende stare in quella casta semplicemente perché vuole ragionare e manifestare le proprie idee.
È bene non illudersi: chi vuole pensare con la propria testa è diventato, di questi tempi, il pericolo più grande per una società culturale asfittica come la nostra. Ogni mezzo, allora, va bene per demolirlo, per umiliarlo, per ridurgli gli spazi d’espressione, e soprattutto per esercitare un potere d’interdizione che controlli gli accessi alla comunicazione, che impedisca ogni forma di confronto con chi nella casta non intende starci e che dia inoltre una precisa, chiara lezione sul vento che tira e su come ci si deve comportare a tutti quei giovani che con ingenuità si avvicinano al mondo del lavoro culturale.
INOSSIDABILE OSTILITÀ DELLA SINISTRA AL CONFRONTO DI IDEE