«NOI ABBIAMO ACCOLTO 1.182 NOMADI: IL 51% SI È INTEGRATO, GLI ALTRI SONO TORNATI IN STRADA »
Marco Granelli, assessore
alla Sicurezza di Milano
container) e arrangiarsi. Chi invece resterà, e procederà nella classifica dei meritevoli, concorrerà per un posto in un Centro di autonomia abitativa: una casa, cioè, dove ogni famiglia ha una camera, ma servizi e cucine sono in comune. I «vincitori», a fine percorso, potranno essere ammessi alla graduatoria per l’assegnazione di una casa popolare. A sorvegliare i concorrenti, promettono in Comune, sarà un presidio fisso di Polizia locale che dovrà anche vigilare su chi entra e chi esce dal campo.
L’assessore alla Sicurezza è ottimista, nonostante i precedenti non siano proprio entusiasmanti: nei due Centri di emergenza sociale già esistenti sono transitati, dal 2013 al 2015, 1.182 nomadi, ma solo il 51 per cento ha trovato una soluzione positiva con i progetti d’integrazione: in pratica l’esperimento ha funzionato solo in un caso su due. Non sembra andare meglio quando il traguardo è in vista: dal novembre 2013 erano 73 i nomadi che avevano ottenuto una casa, ma 25 di loro sono stati allontanati perché non hanno continuato l’esperienza d’integrazione. Perché la realtà è un’altra, e cioè che molti nomadi preferiscono stare dove stanno.
Lo dimostrano i ricorsi al Tar delle famiglie rom che abitano nell’altro campo nomadi «regolare» di via Idro (periferia di nord-est), oggi destinato allo smantellamento. Contro la decisione del Comune di trasferirli proprio nel Centro di emergenza sociale di via Sacile entro il 2015, inaspettatamente (ma solo per l’amministrazione comunale) 19 su 100 occupanti hanno risposto picche, e cinque famiglie sono andate addirittura dal giudice per chiedere di annullare l’ordinanza di sgombero.
Con queste premesse la giunta Pisapia, in scadenza, apre il nuovo Centro di emergenza sociale. L’eredità del successo o dell’insuccesso dell’esperimento ricadrà sulla prossima giunta. E sui milanesi.