Chiamatelo «Che»
Il capo della Cgil d’oltralpe è l’astro nascente della sinistra radicale.
una nuova sinistra dal volto liberal. In ogni caso, negoziatore nettamente più abile.
Il risultato è una legge che in prima lettura, all’Assemblea nazionale, è passata con un procedimento d’urgenza, senza il voto in aula (che l’avrebbe rigettata). Mentre il dibattito continua (ora al Senato), il Paese va avanti a singhiozzo tra scioperi e manifestazioni. E il tasso di disoccupazione resta inchiodato sopra il 10 per cento, un livello elevato per la Francia (salito dal 7,5 per cento dell’inizio del 2008 e mai più ridisceso). Vincent Bolloré, uno degli imprenditori più influenti a Parigi, ha detto di fare ormai tanto business in Italia «perché quello è un Paese normale, mica ci sono gli scioperi come in Francia».
Finora le astensioni dal lavoro sono costati 40 milioni di euro a Air France e 400 milioni a Sncf, le Ferrovie francesi. Intanto, le scene di violenza contribuiscono ad allontanare i turisti stranieri, già spaventati dal terrorismo. «Quelle immagini, che passano su tutte le tv internazionali» osserva Didier Chenet, presidente degli albergatori indipendenti (Synhorcat), «sono disastrose». Le prenotazioni per quest’estate negli alberghi di Parigi sono in calo del 50 per cento rispetto a un anno fa. E dire che l’Euro 2016 doveva rilanciare il turismo, dove il Paese è sempre stato un modello a livello internazionale.
Il terrorismo è l’altra maledizione che ha intaccato il mito francese. Si dirà che non è colpa loro. Ma pure la gestione di quest’emergenza scatena non poche polemiche. Larossi Abballa, l’assassino dei due poliziotti il 13 giugno, era già stato condannato per aver fatto parte di una rete di jihadisti. Ed era ancora nel mirino degli inquirenti. Perché non è stato fermato prima? E dire che un tempo l’intelligence francese era un’eccellenza. Sì, la Francia, già prima della classe, perde sempre più colpi, inesorabilmente. Alla ricerca di nuovo leader. Di un nuovo re. Per carità, per poi ghigliottinarlo.
( Leonardo Martinelli - da Parigi) Alla Cgt, l’equivalente francese della Cgil, lo chiamano «Zapata», resurrezione del rivoluzionario messicano. Il suo look ne è una conferma: Philippe Martinez, 55 anni, segretario generale del sindacato anima delle proteste in Francia, sfoggia grossi baffoni, che scendono sui due lati, sopracciglia foltissime e uno sguardo a tratti corrucciato. In visita agli scioperanti di un deposito petrolifero, a Haulchin, si è messo perfino a gettare pneumatici nel fuoco. Ma siamo sicuri che a Parigi sia nato un nuovo Che Guevara? Cominciamo da quei baffoni: se li è fatti crescere solo quattro anni fa. Dipendente della Renault dal lontano 1982, il nostro ha guidato la Cgt nella metallurgia dal 2008 al 2015, negoziando la ristrutturazione dell’industria dell’auto. Dove non ha lasciato ricordi di un duro, ma di un pragmatico. Ancora l’anno scorso, a Le Monde diceva che «il sindacalismo è per essenza riformista». Ma, nel frattempo François Hollande e il premier Manuel Valls sono crollati nei sondaggi e lui ha preso la palla al balzo, impersonando l’eroe della «vera sinistra» che fa resistenza, soprattutto sulla legge El Khomri. Ma la Cgt perde affiliati senza sosta: restano soprattutto quelli di estrema sinistra, che oggi rappresentano fra un terzo e un quarto degli iscritti contro il 10 per cento di pochi anni fa. E Philippe si è adeguato. Il suo look «operaista»? Figlio di immigrati spagnoli repubblicani, in realtà alla Renault l’operaio non l’ha mai fatto. Era un tecnico, anche nel centro di ricerca sui motori. Insomma, Martinez, ci sei o ci fai? (