Doppiopesismo sui furbetti del cartellino
Grande sostegno dei giornali per il decreto di Marianna Madia che prevede la sospensione e il licenziamento dei dipendenti pubblici assenteisti. Ma quando era Renato Brunetta a combattere la sua battaglia contro i fannulloni, e facevano a gara per ridico
Furbetti del cartellino» sospesi in quarantott’ore e licenziabili in un mese. Una stretta di quelle toste. Il decreto antifannulloni del ministro Marianna Madia suscita oggi «ola» da stadio nei media. Ma quando a girar la vite dei tornelli era il predecessore azzurro, Renato Brunetta, niente «ola». Al suo posto, una raffica di controinchieste, caricature e macabri fumetti: «Quel furbetto di Brunetta» ( L’Espresso, 13 novembre 2008), dottor Jekyll e Mister Hyde ( La Repubblica, 20 marzo 2009), «Brunetta bluff» (ancora L’Espresso, 17 settembre 2009), «fantuttone» e «doppiolavorista» nella qualità di candidato-ministro a sindaco di Venezia ( La Repubblica, 21 gennaio 2010), e le vignette su Emme (inserto satirico de l’Unità) che nel settembre 2008 lo seppelliscono sotto una cruda lapide mortuaria: «Chi è morto oggi? Renato Brunetta». In quel caso arrivarono le scuse. Ma dal 2008 in poi, un lungo e spettacolare tiro al piccione contro il ministro di Silvio Berlusconi. Con strambe argomentazioni che non giustificavano i « furbetti del cartellino», ma contestavano la crociata ridicolizzando «lo spiritoso dottor Jekyll che sprofondava nelle poltrone bianche di Porta a Porta portandosi dietro grafici e istogrammi della riforma fiscale e si è trasformato in un mister Hyde sanguigno e spavaldo che accoppa i nemici a uno a uno». La lotta contro «scansafatiche lavativi e assenteisti» veniva « LA POLEMICA dipinta come campagna indiscriminata se non discriminatoria contro gli impiegati pubblici in quanto tali, secondo un «luogo comune purtroppo non infondato» ( La Repubblica, ancora marzo 2009). Singolare pure l’argomentazione in un commento de l’Unità intitolato «Fannulloni»: la battaglia anti-assenteisti derubricata a «zelo del governo» (di Berlusconi, ovvio) che avrebbe avuto il difetto di obbligare «l’esercito di “disoccupati con lo stipendio” a tornare tra le scartoffie, davanti ai computer». A fare spreco di sedie e a seguire inutili corsi di aggiornamento: «I dubbi che la frusta del ministro Brunetta non riesca ad addomesticare il problema sono reali». Tanto fumo, poco arrosto: se lavativi e finti malati vengono costretti a tornare in ufficio non si fa ordine, si fa «solo casino».
L’Espresso, in nome del «Brunetta bluff» teorizza che il ministro penalizzi «soprattutto le donne». Eugenio Scalfari sulla Repubblica introduce un tocco paradossale. A Brunetta concede, sì, qualche ragione, ma aggiunge: «La faccia feroce serve a poco. Ci vuole un approccio appropriato». E quale sarebbe? «La responsabilità dei dirigenti. Basterebbe controllarli da vicino e stabilire per loro premi o sanzioni sulla base dei risultati». Il pelo nell’uovo. La «faccia feroce» che è un po’ meno feroce se è della Madia e non di Brunetta. Di dubbio gusto le vignette sul giovinastro-killer che dipana il suo violento fervorino: «Stavo a casa in mobilità depresso senza fa ‘n cazzo e me so’ detto: c’ha ragione Brunetta. I fannulloni so’ ‘na vergogna». Poi esagera, punta la pistola e dice: «So’ venuto ar ministero a ringraziatte Rena’». A fianco l’altra vignetta. Lapide e necrologio. Una «ola», ma funebre.