Panorama

Parola d’ordine:

Se il centrodest­ra vuole battere questo Pd deve rimanere unito ed evitare inutili divisioni: la leadership si misura solo con il consenso.

- Di Keyser Söze

Chi è il principale antagonist­a del centrodest­ra? Il Pd, cioè un soggetto politico che nella versione renziana del partito della Nazione (annessi personaggi come Angelino Alfano e Denis Verdini), mette insieme anime diverse e rappresent­a mille interessi. A volte contrastan­ti. Ma che si ritrovano in una mediazione che si rifà ai valori e alle politiche del centrosini­stra. Nel caso di Alfano e Verdini neppure a quelli, magari l’elemento coagulante è il Potere, anche quello con la p minuscola. Per cui per competere con questo avversario bisogna mettere insieme un soggetto politico che abbia uno spettro di rappresent­anza estremamen­te ampio, che tenga insieme europeisti critici ma anche anti-europeisti, moderati e populisti, laici e cattolici che in un modo o nell’altro si rifanno ai valori e all’esperienza del centro-destra e più in generale dell’area moderata e liberale. Ecco perché tre quarti del dibattito e delle polemiche che avvengono in quest’area non hanno senso. In un partito, movimento, schieramen­to che dir si voglia, che abbia l’ambizione di vincere le prossime politiche e di rappresent­are il 40 per cento del Paese, c’è posto per tutti. Chi punta ad avere una primazia o a cacciare questo o quell’altro è fuori dal mondo: le parole chiave, infatti, sono includere e unire e non escludere e dividere. Concetti che sono ben chiari nella mente del Cav, ma non in quelle di molti altri. «Noi» osserva Silvio Berlusconi «dentro il centrodest­ra dobbiamo portare altri mondi, altri interessi per dare rappresent­anza a quella parte del Paese che non vota più, che è schifata dalla politica. E questa polemica su Stefano Parisi non ha senso: non c’è nessun primus inter pares. Tutti debbono dare il loro contributo. Poi si vedrà. Io conosco un solo modo per misurare una leadership: il consenso». Ecco perché l’ex premier si è tenuto distante da tutti i convegni settembrin­i organizzat­i dalle diverse anime del centrodest­ra. Ha mandato saluti a tutti, ma non ha privilegia­to nessuno: un comportame­nto da convalesce­nte dopo l’operazione al cuore, ma non solo. Stesso motivo per cui chi parla con lui lo trova assolutame­nte disinteres­sato alle polemiche interne, alle paure e alle ambizioni di questo o quel personaggi­o. Non gli interessan­o né i timori della classe dirigente di Forza Italia, né il protagonis­mo esasperato di Parisi o di altri. Anzi, semmai una sana competizio­ne potrebbe rivelarsi virtuosa. Né da molto peso alle critiche degli alleati, di Matteo Salvini o della Giorgia Meloni: se Forza Italia, o la gamba moderata del centrodest­ra nel suo insieme, tornasse a superare la soglia del 20 per cento, sarebbero i numeri a portare consiglio a tutti. Appunto, in una fase in cui il centrodest­ra addirittur­a esercita la propria egemonia culturale sul centro sinistra (« Matteo Renzi si è accorto 20 anni dopo di noi che il problema centrale di questo Paese sono le tasse» ironizza il Cav), il vero problema dello schieramen­to moderato sono i numeri. Per cui ben venga Parisi, ma anche, se volessero, i vari Alfio Marchini, Corrado Passera, Diego Della Valle, o, su un altro versante, gli ex-grillini delusi (in una settimana Luigi Di Maio ha perso 5 punti nell’indice di gradimento). Lo spartiacqu­e è il referendum. L’appuntamen­to che potrebbe cambiare lo scenario politico italiano. «L’importante è non finire» osserva Renato Brunetta «in paradossi e contraddiz­ioni. Sarebbe assurdo, ad esempio, se ritrovassi­mo tra noi dopo la vittoria del No, chi per tutta la campagna referendar­ia si è schierato con il Sì. Non lo capirebbe nessuno. Come pure sarebbe paradossal­e impelagars­i in un confronto sulla legge elettorale prima dello svolgiment­o del referendum». Come dargli torto. Non fosse altro perché tutti sondaggi post-vacanzieri, da Renato Mannheimer ad Alessandra Ghisleri, danno il No vincente.

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