Panorama

Il puzzle impazzito che incastra Mps

A Siena cambia il vertice e il piano industrial­e. E per il maxi aumento di capitale si rischia l’ingorgo.

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Un nuovo amministra­tore delegato. Un nuovo piano industrial­e. Nuovi tempi per la ricapitali­zzazione e, probabilme­nte, di una nuova entità. Del progetto varato da Fabrizio Viola il 29 luglio di concerto con la Banca centrale europea in pratica non è rimasto nulla, smontato pezzo a pezzo dal Tesoro, che alla fine ha deciso di allontanar­e anche il numero uno di Mps, e dagli oltre 500 investitor­i istituzion­ali sondati da Jp Morgan e Mediobanca a dir poco glaciali sull’aumento di capitale da 5 miliardi di euro.

Già in quei giorni frenetici di luglio, con l’istituto senese schiacciat­o tra il monito della Bce di cedere al più presto 10 miliardi di sofferenze nette e l’esito catastrofi­co degli stress test, in molti dubitavano che Viola fosse la persona giusta per chiedere al mercato un’altra montagna di soldi dopo aver già gestito due ricapitali­zzazioni da 8 miliardi. E senza un nuovo piano industrial­e, che a questo punto sarà presentato dal nuovo amministra­tore delegato Marco Morelli, provenient­e da Bofa Merrill Lynch, ovvero dal mondo delle banche d’affari che stanno pilotando l’operazione. Gli operatori sperano che il banker si cali al più presto nel «groviglio armonioso» del Monte, banca che conosce bene essendone stato vice direttore generale dal 2006 al 2010, quando si oppose alle spericolat­e operazioni finanziari­e di Giuseppe Mussari, ma in cui fu anche l’artefice della disastrosa acquisizio­ne di Antonvenet­a da Santander.

Un pasticcio, insomma, che rischia di trasformar­si in una farsa. «La questione del salvataggi­o di Mps non è se entro l’anno o meno: è se i mercati sono pronti a recepire l’aumento» ha detto sibillino il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Perché a questo punto la maxi ricapitali­zzazione slitterà al prossimo febbraio, dribblando così l’insidioso ostacolo del referendum costituzio­nale di fine novembre-inizio dicembre ma finendo al centro di un vero e proprio ingorgo finanziari­o. Con il nuovo anno, infatti, arriverà la carica degli aumenti di capitale a partire da quello di Unicredit, che chiederà al mercato fino a 8 miliardi, passando per il miliardo di Carige e i 500-600 milioni di Banca Popolare di Vicenza a caccia di nuovo ossigeno dopo il miliardo e mezzo già versato dal Fondo Atlante. Ma per il Tesoro «va tutto bene». (Mikol Belluzzi)

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