Renzi sbaglia sul commissario digitale
Proprio mentre l’Europa dichiara guerra alle multinazionali che eludono le tasse, in Italia un manager che proviene da Amazon, Diego Piacentini, assume la carica di rappresentante del premier italiano per l’innovazione. Anche se il dirigente lavorerà grat
LL’ANALISI ’Europa dichiara guerra alle multinazionali del web che eludono le tasse. E l’uomo che rappresenterà il premier italiano nelle sedi internazionali dove si discute di tecnologia, sarà un manager legato proprio a uno di quei colossi messi sotto accusa dalla Commissione europea. C’è qualcosa che non va. Ricapitoliamo i fatti. Sabato 10 settembre il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem lancia un «chiaro messaggio» alle grandi aziende del mondo digitale: «Le compagnie multinazionali hanno il dovere di pagare le tasse in modo giusto e credo che dobbiamo lavorare tutti insieme per assicurarci che sia così». È l’ennesima, neppure tanto velata minaccia rivolta contro Apple, Google, Amazon e le imprese americane che vendono prodotti e servizi in tutto il mondo usando internet e sfruttando le più favorevoli normative fiscali.
Pochi giorni prima, il 4 settembre, il capo del governo italiano Matteo Renzi è in Cina per il G-20. Qui presenta al presidente americano Barack Obama il nuovo commissario per l’innovazione digitale a Palazzo Chigi, Diego Piacentini, vicepresidente di Amazon (107 miliardi di dollari di fatturato). La nomina di Piacentini era stata annunciata in febbraio ed è diventata operativa in agosto: il manager lavorerà gratuitamente per il governo italiano per tre anni, periodo durante il quale sarà in aspettativa. Ma è probabile che manterrà il suo pacchetto di azioni della società, derivanti dai piani di stock option. Il decreto che ha stabilito la nomina recita che il commissario dovrà rappresentare il presidente del Consiglio nelle «sedi istituzionali internazionali» nelle quali si discute di innovazione tecnologica, agenda digitale europea e governance di internet e partecipare ad incontri per «supportare il presidente del Consiglio nelle azioni strategiche in materia di innovazione tecnologica».
È opportuna la nomina di Piacentini? Non sembrerebbe proprio. Non tanto per la forma (il decreto che fissa le regole per la nomina sarebbe stato riscritto per mettere al riparo Piacentini dalle norme sul conflitto di interessi), ma per la sostanza. Nel momento in cui l’Europa tenta in tutti i modi di far pagare le tasse a gruppi come Amazon, l’Italia non può presentarsi agli incontri in cui si parla di strategie digitali con un manager che mantiene un legame con la stessa Amazon. La quale, almeno prima di aver raggiunto lo scorso anno una forma di armistizio con il fisco aprendo una nuova filiale in Italia, ha versato ben poche tasse nel nostro Paese. Ricorda il periodico Altreconomia: sommando le imposte pagate dalle cinque società italiane di Amazon attive nel 2015, eccetto la giovane succursale che ancora non ha depositato il bilancio, non si raggiungono i 3,4 milioni di euro. Per una società che movimenta in Italia circa 90 milioni di prodotti.
Insomma, come riassume Francesco Boccia, presidente della commissione Bilancio e membro del Partito democratico, in un’intervista all’Huffin all’Huffington Post, «se tu decidi di lavorare e fare del bene per il tuo Paese, sei il benvenuto. Lo fai per anni e non lo fai essendo azionista di un grande gruppo. Per molto meno abbiamo messo Silvio Berlusco Berlusconi in croce per vent’anni sul tema del conflitto d’interessi. Noi abbiamo il dovere non solo di ri risolvere il tema del conflitto d’interessi al tempo dell’economiade digitale, ma di dimostrare di averlo già fatto con atteggiamenti e comportamenti che vann vanno in questa direzione».
C’è a anche un precedente: nel Regno Unito il premier D David Cameron aveva indicato Doug Gurr, capo dell delle operazioni di Amazon in Cina, come direttore del Department for Work and Pensions. Travolto dalle critiche, Gurr ha rinunciato.