Panorama

SE IL CINEMA DI VENEZIA PARLA FILIPPINO MA NON ITALIANO

- (Stefania Vitulli) 35

Ha vinto un film flippino in bianco e nero lungo quasi quattro ore, The Woman Who Left di Lav Diaz. Non è una novità, viste le tendenze degli ultimi decenni. Zero titoli al cinema italiano. L’ha spuntata solo tre anni fa un documentar­io, Sacro Gra. La verità è che la Mostra del Cinema di Venezia ha il braccino corto o la visione parziale quando affronta la nostra cinematogr­afia. Senza ragionare in prospettiv­a, senza uno straccio di progetto promoziona­le del cinema italiano: che non solo è frutto di opera d’ingegno ma anche di applicazio­ni industrial­i, contributi ministeria­li, di sforzi della Rai e di coraggiosi privati. E invece. Pare che si voglia agire a dispetto. Umiliando autori e film, con giurie poco propense a valutare una cinematogr­afia ospitante, dando un’immagine fasulla di crisi. È il contrario di quel che succede a Cannes, dove non si vergognano di essere nazionalis­ti e fanno volare il loro cinema anche al boxoffice. E sì che la Mostra costa allo Stato tra i 7,5 e gli 8,1 milioni di quei 13 che fanno il budget complessiv­o. Senza che qualcuno si preoccupi di trasformar­e quelle cifre in utilità di forma e sostanza. È un caso se dal 1959 al 1966 il cinema italiano ha vinto sette volte il Leone, in un periodo che coincideva con le sue migliori fortune commercial­i? Solo un problema di qualità o c’è dell’altro?

(Claudio Trionfera)

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Stefano Zecchi, 71 anni, docente di estetica e scrittore, è tra i giurati del premio Campiello.

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