SE IL CINEMA DI VENEZIA PARLA FILIPPINO MA NON ITALIANO
Ha vinto un film flippino in bianco e nero lungo quasi quattro ore, The Woman Who Left di Lav Diaz. Non è una novità, viste le tendenze degli ultimi decenni. Zero titoli al cinema italiano. L’ha spuntata solo tre anni fa un documentario, Sacro Gra. La verità è che la Mostra del Cinema di Venezia ha il braccino corto o la visione parziale quando affronta la nostra cinematografia. Senza ragionare in prospettiva, senza uno straccio di progetto promozionale del cinema italiano: che non solo è frutto di opera d’ingegno ma anche di applicazioni industriali, contributi ministeriali, di sforzi della Rai e di coraggiosi privati. E invece. Pare che si voglia agire a dispetto. Umiliando autori e film, con giurie poco propense a valutare una cinematografia ospitante, dando un’immagine fasulla di crisi. È il contrario di quel che succede a Cannes, dove non si vergognano di essere nazionalisti e fanno volare il loro cinema anche al boxoffice. E sì che la Mostra costa allo Stato tra i 7,5 e gli 8,1 milioni di quei 13 che fanno il budget complessivo. Senza che qualcuno si preoccupi di trasformare quelle cifre in utilità di forma e sostanza. È un caso se dal 1959 al 1966 il cinema italiano ha vinto sette volte il Leone, in un periodo che coincideva con le sue migliori fortune commerciali? Solo un problema di qualità o c’è dell’altro?
(Claudio Trionfera)