Quel Raffaello deportato e i critici ciechi
Mentre alcuni importanti capolavori del maestro di Urbino lasciano l’Italia per essere ospitati in una mostra al museo Puskin di Mosca, Vittorio Sgarbi critica l’ambiguità degli storici dell’arte italiani. Che un anno e mezzo fa si mobilitarono con una ra
DLA POLEMICA isinformato come sempre, Vittorio Emiliani, con il suo Comitato per la bellezza, aderisce al mio appello contro il trasferimento della Muta di Raffaello dalla galleria nazionale delle Marche a Urbino al museo Pushkin di Mosca, senza citare la fonte e l’iniziativa, ovvero Quotidiano.net. In compenso, ancora più disinformato, fa riferimento alla mostra Da Cimabue a Morandi, disprezzandola come «mostra-centone», allestita un anno e mezzo fa (e non tre, come scrive l’approssimativo Emiliani) a Palazzo Fava, a Bologna, chiedendo in prestito alla pinacoteca cittadina solo tre dipinti, uno dei quali non esposto, riemerso dai depositi. L’Estasi di santa Cecilia di Raffaello, su cui fu innescata una polemica, con più di 300 firme di illustri professori prevenuti e ignari del progetto, fu ospitata in Palazzo Fava, perché la sala di Raffello della locale pinacoteca era stata sottoposta a restauri.
L’immonda strumentalizzazione, sotto le false insegne della locale Italia Nostra, fu accesa da tale Daniele Benati, coalizzando prevalentemente docenti universitari, fintamente scandalizzati per lo spostamento della pala di 300 metri, dagli ambienti della pinacoteca, freddamente allestiti da Leone Pancaldi, al mirabile Palazzo Fava, in prossimità degli affreschi di Ludovico e Annibale Carracci. Il richiamo di Emiliani a quell’insensato appello è grottesco, giacché nessuno di quei firmatari, tra i quali Carlo Ginzburg, Antonio Pinelli, Keith Christiansen, Bruno Toscano, Pier Luigi Cervellati, Giovanni Losavio, Giovanni Agosti, Tomaso Montanari, Jadranka Bentini, Alessandro Ballarin, Simonetta Prosperi, Alessandro Angelini, la infida Anna Ottani Cavina, la trista Anna Maria Ambrosini, Andrea de Marchi, Francesco Caglioti, e altri ciechi ma non muti(allora), ha aperto bocca (oggi) per denunciare, non diversamente dalla Muta, l’emigrazione a Mosca dell’Estasi di santa Cecilia. Campioni di doppia verità.
La mostra di Bologna, come scrissero, tra gli altri, Quintavalle e Arbasino (che la videro), era una significativa e rispettosa, piena di opere sconosciute, dedicata a Roberto Longhi.
L’avesse vista, il disinformato Emiliani, non avrebbe usato mezze notizie (e oggettive falsità) per denunciare, con me, lo scandalo vero della deportazione in Russia di numerosi capolavori di Raffaello da Firenze, Urbino, Bologna, Roma, per una mostra dal titolo ridicolo Raffaello e la poesia del volto. Per mostrare onestà, provi Emiliani a vedere il catalogo della mostra Da Cimabue a Morandi, e dica pane al pane, e vino al vino. Fossero tutte le mostre come quel «centone», ammirato dalla lucida intelligenza di Umberto Eco, che non riuscì a capire le ragioni di una falsa polemica, come oggi mostra la latitanza di quelli che allora firmarono contro lo spostamento dell’Estasi di santa Cecilia di Raffaello, e che ora tacciono, incoerenti e indifferenti.