Panorama

JAMIE MURRAY

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piccolo centro, da un Paese come la Scozia che non ha strutture e che quando io giocavo metteva il tennis al numero 17 fra gli sport. A parte me, in famiglia non avevamo nemmeno tradizioni di tennis, né grandi possibilit­à finanziari­e. Ho lottato per convincere qualche sponsor a credere nella nostra avventura, ho chiesto aiuto a tutti. Fare crescere un giovane tennista è molto costoso e gli aiuti sono molto inferiori rispetto agli sport di squadra e soprattutt­o al calcio, dove il club si occupa di tutto. Molti infatti abbandonan­o. Ma Jamie e Andy avevano passione e qualità. Hanno avuto bisogno di un coach privato, quindi di fare esperienza fuori dalla Scozia, poi anche all’estero, e hanno avuto bisogno che io capissi sempre di più, facessi le mie esperienze per aiutarli nel creare un team. È stata davvero durissima. Nato a Dunblane il 13 febbraio 1986, Jamie è mancino, e ha chiuso l’anno al numero 1 del mondo, in coppia, insieme al brasiliano Bruno Soares, dopo essersi aggiudicat­o quest’anno due titoli Slam: Australian e Us Open. Mamma Judy, 57 anni, figlia di Roy Erskine, ex calciatore dello Stirling Albion negli anni 50, è stata tennista di buon livello, n. 1 di Scozia, ha allenato i due figli fino ai 10 anni, ed è stata capitana di Fed Cup britannica, ha divorziato dal marito, Willie, cui vennero affidati i ragazzi, che avevano 10 e 11 anni. Come faceva a sapere che i suoi figli avrebbero sfondato? Non lo sapevo. Ho assunto tanti rischi, mi sono fatta tanti ragionamen­ti e ho avuto i miei dubbi. Certo, i ragazzi mi hanno sempre dimostrato una grandissim­a passione, avevano manualità, ottenevano risultati e soprattutt­o seguivano il mio prioncipio base: divertitev­i davvero, giocate con gioia e fate anche altri sport. Ho capito che avevo ragione, soprattutt­o con Andy, nel 2004, quando si è fermato sei mesi per il ginocchio e, appena tre mesi dopo, ha vinto gli Us open juniores a 17 anni, in anticipo rispetto al limite d’età. Nel 2005, ha ottenuto una wild card al Queen’s e ha perso al terzo turno solo dopo due tie-break, per 7-5 al terzo set contro Thomas Johansson:mi sono convinta che davvero poteva competere fra i profession­isti perché aveva il gioco, la tattica e il fisico. Fortissmi, ma non simpaticis­simi al grande pubblico inglese. Crede che questo dipenda dalla sua figura di mamma, o dalle frequenti parolacce di Andy durante i match? Dal ceppo scozzese e da quella uscita infelice di Andy prima dei Mondiali di calcio 2006: «Tiferò chiunque ma non l’Inghilterr­a»? So che l’opinione pubblica ha cambiato idea quando Andy ha pianto davanti a tutti alla premiazion­e di Wimbledon 2012, quando perse contro Roger Federer. In quel momento la gente ha capito che aveva davanti un giovane molto sensibile che ce la metteva tutta e ci teneva da morire per sé e per il Paese: l’ha sentito davvero vicino e l’ha abbracciat­o come un figlio. Quindi, a confermare la grande passione e partecipaz­ione di Andy e di Jamie, ci sono stati il successo di Coppa Davis e le due Olimpiadi. Oggi il pubblico ama i miei figli e li sostiene al massimo. Loro ed io siamo soprattutt­o grandi appassiona­ti di tennis e vogliamo fare il massimo per farlo crescere e lanciarlo nel nostro Paese. Quando Andy e Jamie sono diventati numeri 1 del mondo, lei ha parlato di «missione compiuta». Siete appagati? Ho detto «missione compiuta» perché quello era l’obiettivo per il 2016, almeno per Andy. Il risultato di Jamie è stato più inatteso, sulla scia dei primi trionfi a Melbourne e New York. Ma sono convinta che tutti e due prenderann­o slancio e consapevol­ezza proprio da questo primato per vincere ancora. Andy sarà, con Novak (Djokovic), il giocatore da battere, ma dovrà fronteggia­re il livello medio-alto sempre più competitiv­o di Nick Kyrgios, AlexanderZ­verev e degli altri giovani. E anche Jamie ha dimostrato di poter stare in alto. Non sono una super-mamma, ma una mamma orgogliosa sì: due volte orgogliosa. E anche felice.

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