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Renzi scriverà un libro per raccontare i suoi mille giorni da premier
«Torno semplice cittadino. Non ho paracadute. Non ho un seggio parlamentare, non ho uno stipendio, non ho un vitalizio». Il post notturno dell’11 dicembre 2016 ha rimarcato la nota dolente. Matteo Renzi è senza lavoro. A differenza dei presidenti del Consiglio degli ultimi 25 anni, l’ex rottamatore ha fatto solo una cosa nella vita: il politico. Presidente della Provincia di Firenze, sindaco del capoluogo toscano, premier. Una poltrona via l’altra, senza soluzione di continuità. Pena l’ineleganza occorre ricordare che, come ricostruito da Panorama, ogni mese Renzi, solo di mutui, ha sul groppone più di 4 mila euro. Tocca dunque dare una mano a Matteo, prima che finisca al soldo di qualche multinazionale, come da lui vagheggiato. I parlamentari del Pd, cuori d’oro, hanno proposto di pagargli la carica di segretario del partito. Ma l’ex premier avrebbe rifiutato la paghetta. Ripiegherà sulla scrittura, dopo aver già mandato alle stampe tre libelli: Fuori!, Stil novo e Oltre la rottamazione. Il contratto per il prossimo libro sarebbe stato definito in tutto segreto con Feltrinelli. E robusto sarebbe l’anticipo: oltre 100 mila euro. La casa editrice non conferma, ma l’uscita parrebbe certa. Tema della fatica letteraria: i mille giorni al governo. Indicibile il sottotesto: « Primum vivere, deinde philosophari ». Il pane sempre prima della politica.
che l’esecutivo di Paolo Gentiloni è modestissimo nella sua composizione, con ministri protagonisti di errori colossali nell’esercizio delle loro funzioni e della bocciatura epocale datata 4 dicembre 2016 con il referendum costituzionale. Quanto al premier, «serviva un politico discreto e di basso profilo. E nel governo di Renzi c’era molta scelta» bastona il quotidiano spagnolo El Pais «perché l’ex sindaco di Firenze si era impegnato a costruire un fossato di irrilevanza attorno alla sua figura». L’irrilevanza al governo: questo è, al momento, l’esecutivo Gentiloni, immediatamente ribattezzato Renziloni.
Attenzione, però: il governo-fotocopia era l’unica strada percorribile dal neo premier. Per ottenere il via libera al suo governo, non poteva che assecondare i desiderata del suo predecessore. La vera guerra, una guerra termonucleare, è già cominciata, per la precisione con i discorsi tenuti alle Camere il 13 e 14 dicembre, quando Gentiloni ha chiarito che «un governo dura fin quando ha la fiducia del Parlamento». Non solo. Il premier ha annunciato che lascerà alla forze parlamentari «la responsabilità di promuovere e provare intese efficaci» sulla nuova e indispensabile legge elettorale. Insomma, altro che elezioni a giugno: il presidente del Consiglio ha subito fatto intendere che il suo non è affatto un «governo di scopo» buono solo a superare l’Italicum. Mattarella gli ha conferito un mandato pieno che ha molti obiettivi, alcuni dei quali annunciati come fondamentali: il salvataggio del Montepaschi, il confronto con l’Unione europea sugli immigrati, la rivisitazione della legge di Bilancio, il completamento delle riforme renziane, il terremoto, il Sud.