Panorama

Vincere alla lotteria del centrodest­ra

- 58 di Keyser Söze

Anche in politica si può vincere una lotteria. Il successo del No al referendum, la fine del governo di Matteo Renzi, la nascita di un esecutivo clone senza di lui e la deflagrazi­one del Pd, sono per il centrodest­ra una vera vincita, non si sa fino a che punto meritata. Ora il problema è mettere all’incasso il biglietto, evitando di smarrirlo come capita spesso in questo versante del mondo politico. La bussola dovrebbe essere sempre quella di restare uniti, cercando compromess­i tra le anime dello schieramen­to. Forse la posizione più efficace sul tema principale, cioè il voto anticipato, può essere riassunta in uno slogan: chiedere le elezioni senza manifestaz­ioni muscolari, ma soprattutt­o non fare nulla, proprio nulla, per impedirle. Certo Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno i loro motivi per sollecitar­e la piazza, in competizio­ne con Beppe Grillo, ma la via maestra potrebbe essere quella, invece, di lasciare il Pd dibattersi nelle sue contraddiz­ioni. Sono tali e tante che più trascorrer­anno i mesi e più il partito di e soci rischierà di logorarsi. Anche perché, se sospetti, Panorama ed è finito male. E prima torniamo alla nostra moneta meglio è. Ma questo io lo metto nel programma, non alla base di un improbabil­e referendum consultivo. A proposito di referendum. Roberto Maroni e Luca Zaia hanno confermato che in primavera si farà quello per l’autonomia regionale di Lombardia e Veneto. Propaganda anche quella? Propaganda? Ogni anno Veneto e Lombardia versano allo Stato centrale 70 miliardi di euro di tasse in più di quel che ricevono. Sono 15 milioni di persone, fanno circa 5 mila euro a testa. Certo, non devono tenersi tutto: però è inaccettab­ile. Anche perché della spending review si è persa ogni traccia. Il referendum è giusto: è uno stimolo a spendere meglio. Torniamo ai 5 stelle: davvero nessun punto di accordo? Nemmeno sulle tasse? Macché... Non è che, ora che i grillini parlano di «espellere i clandestin­i», la Lega ha paura di perdere voti a loro favore? Per nulla. Banalmente, io prendo atto che su tutti i temi più importanti, come immigrazio­ne, Europa, rapporti con

I soliti non ci saranno elezioni anticipate, a primavera si svolgerann­o i referendum sul Jobs act: difficilme­nte la Consulta potrà trovare un escamotage per impedirli, vista la voglia di votare del Paese (l’affluenza del 67 per cento è forse il dato più importante del 4 dicembre), e quella scadenza rischia di mettere la pietra tombale non solo sul renzismo, ma sul Pd. L’ex premier infatti non potrà non giocare la partita perché una ritirata sarebbe quasi un’abiura. E la minoranza del Pd non potrà non schierarsi a fianco del sindacato su un tema che sfiora la carne del suo retroterra elettorale. Così l’appuntamen­to si trasformer­à in un «armageddon» per il Pd: si dividerà per la seconda volta su un tema essenziale, la scissione sarà ineluttabi­le, e in campo torneranno gli eserciti che hanno determinat­o la vittoria del No, a cominciare dai giovani che il Jobs act ha trasformat­o nel popolo dei voucher. «Più ci penso» osserva Silvio Berlusconi «e più mi convinco che le elezioni anticipate sono una patata del Pd, sono loro che devono bruciarsi le dita e assumersi la responsabi­lità del quando. Anche perché chi chiede le elezioni spesso le perde». Il problema, però, è che molti nel centrodest­ra giocano questa partita avendo altro in testa. «I miei amici fittiani» racconta Rocco Palese «insieme a Salvini e Meloni hanno il chiodo fisso delle primarie. Pensano di vincerle. Quando ho sentito questo pronostico gli ho chiesto il certificat­o di sanità mentale». E si torna al punto di partenza: il centrodest­ra è vincente sulla carta, ma malato di personalis­mi. Il problema non è fare o no le primarie, ma come farle: di certo sarebbe meglio se fossero regolate per legge. «Nessuno si è accorto» sottolinea Paolo Romani «che una proposta di legge approvata dalla Camera le prevede» Comunque prima bisogna vedere con quale legge si voterà. Insomma, ci sono priorità. Il centrodest­ra farebbe bene a seguire il vecchio detto: una cosa alla volta. l’Islam giù giù fino alle unioni gay, loro hanno posizioni assolutame­nte di sinistra. Ripeto: le parole sono una cosa, ma i fatti e i voti sono tutt’altro. Insomma, la Lega resta collocata nel centrodest­ra: il vostro consiglio federale si è appena espresso a favore delle primarie per scegliere «candidato premier e programma». Ragioniamo insieme, lavoriamo insieme. Il centrodest­ra governa bene da vent’anni in Lombardia, dove c’è la migliore sanità d’Italia. Qualunque sia la legge elettorale, però, leader e programma del centrodest­ra devono essere scelti dagli italiani. Sulle primarie non c’è accordo. Si può tornare a un’alleanza con Forza Italia? L’importante è avere ben chiaro che cosa si fa se si vince. Su alcuni temi non ci sono vie di mezzo: sulla sovranità monetaria, per esempio, che è fondamenta­le perché da lì passano debito, competitiv­ità delle imprese ed export, si può tornare a essere quel che eravamo. Però non ci devono essere vie di mezzo. Come sulla flat-tax: si può discutere sull’aliquota unica, che noi vorremmo al 15 per cento. Noi siamo certi che se in Italia famiglie e imprese pagassero quel livello di tasse, e andasse in galera chi evade, faremmo ripartire l’economia. Ecco: se c’è condivisio­ne… In definitiva: oggi c’è una Lega che va da sola nelle piazze. Quanto al resto, alleanze comprese, si vedrà. È così? Per cambiare le cose devi governare. Per riuscirci devi fare una squadra: più ampia è, meglio è. Mi sento ogni giorno con Giorgia Meloni, Giovanni Toti, Raffaele Fitto, e ho appena parlato a lungo con Silvio Berlusconi. La squadra c’è. Ma non dobbiamo ripetere gli errori del passato. Basta con gli Alfano, i Casini, i Cicchitto... Il Corriere vi dà all’11,9 per cento, il doppio delle europee 2014. Però scrive che «la leadership di Salvini è forte sul piano identitari­o, ma senza speranze nell’aspirazion­e al governo del Paese». Più i giornaloni scrivono male di me, più io sono contento. In America l’hanno fatto per sei mesi con Trump: aveva idee forti su immigrazio­ne, economia e Russia, dicevano, ma non sarebbe mai diventato presidente. S’è visto com’è finita.

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dove quel personaggi­o è interpreta­to da Kevin Spacey (foto), e nasconde un importante rappresent­ante delle istituzion­i, che su racconta la politica dal di dentro.
Matteo Renzi Chi è Keyser Söze: lo pseudonimo è tratto dal film-cult dove quel personaggi­o è interpreta­to da Kevin Spacey (foto), e nasconde un importante rappresent­ante delle istituzion­i, che su racconta la politica dal di dentro.

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