Panorama

Razzi ad altezza uomo

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da dove le forze armate controllan­o le pendici del Golan e la frontiera libanese. Oltrecorti­na si trova il villaggio fantasma di Kfar Kela, apparentem­ente disabitato. Solo qualche raro camion si muove veloce lungo il confine, che altro non è se non una sofisticat­a rete elettrific­ata. Qui dovrebbe operare l’Unifil, la forza d’interposiz­ione Onu, ma non c’è nessuno. «Dove sono i caschi blu?» chiedo al maggiore Amsalem, che mi accompagna. «Passano di rado, giusto per pattugliar­e il confine». In cima al monte c’è una fortificaz­ione. «Quella è Nabi El Aradi, una base militare libanese, ma non escono quasi mai, qui comanda solo Hezbollah». Mi chiedo se non sia pericoloso stare qui. «Non ultimament­e» rassicura il maggiore. «In queste settimane la maggior parte dei miliziani sono impegnati oltre il Golan, gli altri si dedicano al traffico di droga». In quest’area passano le metanfetam­ine e la marijuana che i narcotraff­icanti libanesi producono in grandi quantità più a nord, nella valle della Bekaa, anch’esso territorio di Hezbollah.

Due giorni dopo, al quartier generale dell’Idf, edificio orwelliano di oltre 20 piani, il generale Amikam Nurkin, prossimo comandante dell’Aviazione, mi mostrerà una cartina delle attività di Hezbollah nell’area. Chaqra, ad esempio, una cinquantin­a di chilometri a sudovest rispetto a Metullah, è una sequenza di depositi di armi, pezzi d’artiglieri­a, tunnel e postazioni di fanteria. L’Idf ne ha mappato l’attività. Tutto è allestito per una guerra. Secondo il generale, il vero conflitto deve ancora iniziare: le forze armate si preparano a una guerra entro i prossimi cinque anni. «Non possiamo farci trovare impreparat­i, sappiamo che Hezbollah si sta riorganizz­ando, come Hamas nella Striscia di Gaza. Noi siamo la prima linea di tutto». Lascio le alture con la sensazione di un territorio dai bordi troppo incerti. Anche la frontiera siriana, del resto, è contestata: il maggiore Amsalem non ha saputo dire con precisione dove finisca Israele e inizi la Siria.

La sera del 28, a cena col portavoce del ministero degli Affari esteri, Emmanuel Nahshon, discutiamo di altri confini incerti: quelli con la Palestina. Chiedo ingenuamen­te come possano esservi due Stati, quando sulla cartina ce ne sono almeno tre: Gaza e la Cisgiordan­ia non confinano tra loro. «La soluzione c’è» dichiara sicuro. «Prevede tunnel o ponti sopraeleva­ti per connettere le due regioni, che distano tra loro solo 40 km. Si può fare». Obietto che un Paese ha bisogno di continuità territoria­le, ma lui insiste: «Nel mondo vi sono molti esempi simili di discontinu­ità». Cito Kaliningra­d, l’enclave russa in Europa, e lui annuisce. Gli ricordo come quello sia un problema per Europa e Nato, visto che Mosca vi ha appena piazzato dei missili balistici. Intanto arriva il pesce San Pietro, specialità locale. Non c’è più tempo per rispondere.

Poche ore prima ho visitato lo Ziv Hospital Center, nella cittadina di Safed, sulle montagne della Galilea che digradano lungo il confine con la Siria. Qui un’équipe medica guidata dal professor Alexander Lerner cura i feriti della guerra civile. L’ortopedico bielorusso fa miracoli con arti lacerati dalle bombe, ossa esplose e frammenti di schegge che infierisco­no sui muscoli dei pazienti. Lo spettacolo è straziante. Dall’inizio del 2013, oltre 700 profughi siriani sono stati ricoverati in ospedali civili israeliani e negli ospedali da campo dell’Idf. Tra le vittime di guerra in cura a Ziv, ci sono anche combattent­i.

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Un deposito con i resti dei razzi lanciati sulla città di Sderot, una delle città più bersagliat­e da Hamas.

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